Il principe ereditario
Fino a qualche anno fa, era Umberto a volere che Vittorio Emanuele si estraniasse dalle manifestazioni ufficiali, anche perché, a quell’epoca, il principe manifestava maggior interesse per la vita mondana e sportiva di quanto non ne ostentasse nei confronti delle questioni dinastiche della casata. La nonchalance del giovane principe era addirittura proverbiale. Molti ricordano che recandosi a Montpellier per la commemorazione funebre della norma, la regina Elena, Vittorio si presentava sprovvisto addirittura degli abiti di circostanza. Tanto che era Carlo Pianzola a provvedere al riguardo.
Il 24 giugno scorso invece, a poppa dell’Ascania, il generale Valle parlando a nome della Consulta dei senatori del Regno, così si esprimeva: “La Consulta è fiera per aver Vostra Maestà autorizzato S.A.R. il principe ereditario Vittorio Emanuele ad assumere nell’alto consesso il posto di primo dei suoi membri che gli assegnava lo Statuto del Regno”. Due fatti in uno: veniva riattivata ufficialmente la Consulta i cui componenti, da centoventi si erano ridotti, per estinzione, a sessanta, e nello stesso tempo Vittorio Emanuele ufficialmente, col consenso paterno, veniva presentato come principe ereditario al trono d’Italia. Li sulla poppa della nave, in quel lembo d’Italia, nel giorno di quel ventennale sull’acqua.

Re Umberto II con Vittorio Emanuele Principe di Napoli
Di contro la Regina Maria Josè non c’era e anche le principesse mancavano. I giovani duchi d’Aosta, che avrebbero dovuto imbarcarsi a Cagliari, erano rimasti a casa perché la loro tenerissima bambina non stava molto bene. Così, la cabina a loro riservata era stata occupata dalla baronessa Trigona di Palermo che si era sentita molto onorata. Era presenta il duca di Bergamo. La famiglia reale, ancora una volta, si presentava smembrata.
Ma i quattrocento non stavano lì per analizzare le sfumature nuove della manifestazione: erano venuti per vedere ed ascoltare Umberto. Un pellegrinaggio sentimentale, il loro. Il re prese la parola dopo aver ascoltato ancora i saluti di Rinaldo Taddei, presidente dell’Unione Monarchica Italiana, del senatore liberale Bonaldi che egli parlò a nome dei ventuno parlamentari del P.L.I. di sentimenti monarchici, del diciannovenne Gaulano, che parlò a nome del Fronte Giovanile Monarchico. Umberto II ringraziò tutti e poi dedicò le sue parole ai quattrocento: ai militari con le medaglie e le cicatrici delle ferite, alla gente umile, ai Rovenzano che si erano impegnati il televisore per fare il viaggio.
Parole dietro le quali non c’era nessuna intenzione e che dovevano arrivare al cuore di tutti: “or sono vent’anni, era mio desiderio che il mio primo atto di re fosse di riconciliazione. Non mi fu consentito. Ma ancora oggi vi ripeto: siate soprattutto fratelli. Come figli di una madre comune dobbiamo porre sopra ogni cosa l’affetto per la Patria che voi avete servito con dedizione e fede, come io stesso, anche se è molto doloroso amare da lontano”.

Il bacio alla Bandiera di Vittorio Pappalardo, nipote di un Caduto di Via Medina