L’errore che portò alla guerra
* Lo commise l’Inghilterra volendo ostacolare la nostra penetrazione in Etiopia; perseverò nell’errore preferendo qualsiasi catastrofe ad una sincera politica, di pacificazione con l’Italia
* Nell’aprile 1940 circa cinquantamila operai lavoravano a costruire fortificazioni sul Brennero e cinquemila per la difesa delle valli piemontesi
* Se per scongiurare l’intervento italiano in guerra fosse stato fatto un decimo dello sforzo che si fece per tentare d’impedirci di andare in Etiopia, saremmo rimasti in disparte e la guerra europea forse non sarebbe stata combattuta
Nell’esaminare la situazione europea alla vigilia della guerra, Umberto dà a ciascuno la sua parte di torto, come a ciascuno – meno che a Hitler, per il quale è ben difficile trovare altra giustificazione che la follia – dà la sua parte di ragione. Il fatto è che si era creata una situazione che era quasi impossibile risolvere, nella quale, del resto, osserva Umberto, le questioni italiane e quelle relative all’Africa orientale passavano in secondo piano. Sarebbe stato necessario che tutti i paesi interessati alla vicenda facessero un passo indietro e rivedessero la loro posizione, limando talune asperità e rinunziando a qualcuno dei passi preliminari già fatti in vista della guerra. In queste cose un torto o un errore esistono soltanto in un lontano inizio, poi tutto il resta si svolge come una macchina automatica: e se del problema arrivano ad occuparsi gli Stati Maggiori, é quasi impossibile fermare la macchina.
– Dove fu l’errore iniziale che portò alla guerra? – domando.
Umberto fa un gesto vago e dice: «Per quel che riguarda noi, l’errore iniziale lo commise l’Inghilterra quando, dopo gli accordi intercorsi fra Mussolini e Ras Tafari nel 1924, intervenne a turbare i nostri interessi in Etiopia. Non vale dire – come dicono gli anglofili a oltranza – che l’Italia avrebbe dovuto rinunziare all’impresa del 1935: la nostra rinuncia sarebbe stata deleteria per il prestigio dell’Italia; mentre una rinuncia inglese a disturbare la nostra penetrazione pacifica in Etiopia, come era largamente prevista dall’accordo italo-franco-inglese del 1906, non avrebbe arrecato alcun danno all’economia imperiale britannica, che era, impostata su ben altre basi. Da parte dell’Italia si cercava una via pacifica, ma da parte inglese si cercava di spingerci alla conquista armata per distrarci dall’Europa, probabilmente. Ora, l’averci costretti nel 1935 a fare uno sforzo tre volte più grande del prevedibile ci allontanava dagli affari europei proprio nel momento in cui la nostra presenza sarebbe stata utilissima. No, si poteva dimenticare che soltanto un anno prima Mussolini aveva mandato le nostre divisioni al Brennero, facendo così fallire il tentativo violento di “Anchluss” che costò la vita, al povero Dollfuss».
Invece, la politica inglese inchiodò l’Italia all’Africa orientale esattamente ne1 momento in cui era pronto alla prima mossa anche Hitler: e costui rioccupò la Renania e violò l’accordo – veramente ingenuo – che l’Inghilterra aveva fatto con lui in merito alle costruzioni navali, dando il via alla costruzione in serie di quella flotta sottomarina che diede poi tanto filo da torcere agli Alleati. Umberto non vede come si potesse spezzare questa catena di cause ed effetti e di nuove cause e di nuovi effetti. Era una catena di risentimenti e di ripicche, e Dio sa, come e quanto i risentimenti sono profondi in campo internazionale e le ripicche irrimediabili. Così dall’errore commesso ai danni dell’Italia, errore che era anche un torto, derivò il vero e maggiore danno, cioè la rinascita in forze della – Germania hitleriana, la quale già alla fine del 1935 sapeva che non avrebbe dovuto più temere le divisioni italiane. al Brennero…
«Con la rinunzia al gentlemen’s agreement» osserva Umberto – gli Alleati fecero dono alla Germania della sicura neutralità italiana in caso di conflitto, e con la loro azione successiva, garantirono a Hitler il pieno appoggio dell’Italia. Le sanzioni ebbero il valore esatto di tanti Corpi d’armata quanti Hitler avrebbe dovuto schierare sul temuto “fronte Sud”. E gli inglesi lo sapevano benissimo: senta che cosa scriveva il Times, già nell’estate del 1933: ” E’ interesse dell’Europa di incoraggiare lo sviluppo dell’Italia verso l’Africa, altrimenti si verificherebbe la situazione del 1882, quando la certezza di avere nella Francia e nell’Inghilterra una coalizione ostile nel Mediterraneo, cosa dimostratale dall’affare tunisino. le fece contrarre la triplice alleanza”.
«Dunque» – conclude Umberto riponendo il foglietto su cui aveva trascritto quelle parole del Times – «il fatto del nostro avvicinamento alla Germania era scontato, anzi calcolato, e quindi voluto! ..»
L’astuzia di Stalin
«Ma non si sarebbe potuto trovare nel ’39 – domando – una via di compromesso?»
«Come? Guardi – risponde Umberto – nemmeno oggi, a cose viste, si potrebbe indicare un compromesso valido per quella ch’era la situazione nel 1939. L’iniziativa per un chiarimento non poteva più spettare a noi, dopo la faccenda del “gentlemen’s agreement”, è evidente: poteva semmai essere la Francia a fare da mediatrice, e si ebbe sentore che qualcosa si tentava, dal Quai d’Orsay. Ma era la Gran Bretagna che preferiva qualsiasi disastro alla pacificazione con l’Italia: ne chieda qualcosa al conte Grandi che fu ambasciatore a Londra proprio nel periodo cruciale, quando ancora le cose potevano prendere un altro giro. Si volle, proprio si volle, che l’Italia si mettesse al fianco della Germania. Sicché la decisione della rottura dell’equilibrio veniva rimessa alla… saggezza di Hitler, che saggezza non aveva. Peggio ancora, fu la volpina abilità di Stalin a decidere l’inizio della guerra: se si fossero fatte offerte concrete a Stalin da parte degli Alleati, egli non avrebbe firmato l’accordo per la spartizione della Polonia, probabilmente, e Hitler non si sarebbe mosso se, pur essendo ormai assicurato al Sud, avesse corso dei pericoli all’Est. D’altra parte non si può certo dire che, a guerra, cominciata e con l’Italia “non belligerante”, il contegno dell’Inghilterra nei nostri riguardi fosse migliorato: pareva anzi che a Londra si avesse fretta di realizzare la minaccia che Lord Palmerston adombrava nel 1859 al nostro ambasciatore d’Azeglio: “Quanto maggiore sarà il numero dei porti del costituendo Stato italiano, tanto maggiore sarà la sua vulnerabilità per opera dell’Inghilterra”. Insomma, se per scongiurare l’intervento dell’Italia in guerra fosse stato fatto un decimo dello sforzo che si fece per tentare di impedirci di andare in Etiopia, noi saremmo rimasti in disparte e la guerra europea forse non sarebbe stata combattuta .
Umberto pensa che lo stesso Mussolini abbia esitato fino all’ultimo momento, ed abbia forse financo creduto di poter fare un po’ di doppio gioco per ottenere le maggiori e migliori condizioni possibili. Dice poi:
«Nei primi giorni di maggio del 1940, mi pare il 10 o l’11, mentre stavo compiendo un giro d’ispezione nella zona di operazioni prevista per il Gruppo d’Armate al cui comando io ero designato, in Piemonte, seppi che un ministro, l’on. Cianetti, che era ministro delle Corporazioni, stava visitando i cantieri di lavori di fortificazioni delle valli piemontesi. Per l’on. Cianetti avevo molta stima, perché era uno dei ministri più serii e appassionati del suo ramo, per cui ebbi desiderio di vederlo, e mandai un ufficiale a cercarlo. Ma non fu possibile rintracciarlo, poiché l’ufficiale arrivava sempre un’ora, dopo che l’on. Cianetti era partito. Proprio il giorno che dovevo tornare a Roma, l’ufficiale trovò il ministro e gli disse che io avrei avuto piacere di incontrarlo: ma ormai non poteva che trovarmi a Roma. Pochi giorni dopo, l’on. Cianetti venne da me al Quirinale e gli chiesi che cosa pensasse della situazione. Rispose che aveva visitato alla fine di aprile i cantieri militari della zona del Brennero, e poi ai primi di maggio i cantieri militari del Piemonte, nella sua qualità di ministro delle Corporazioni, e non a scopi militari. Lo aveva colpito il fatto che nella zona del Brennero lavoravano circa cinquantamila operai, che avevano fatto un lavoro formidabile, quasi ultimato; mentre nelle valli piemontesi vi erano appena cinquemila operai, il cui lavoro era ancora all’inizio in fondo valle. Non capiva perché le cose stessero a tal punto, né che cosa se ne dovesse dedurre. Poi tacque, e mi parve imbarazzato, come se gli sembrasse di aver detto troppo, né io gli posi altre domande ».
(Successivamente ho chiesto conferma del fatto a Tullio Cianetti, che capita spesso in Portogallo. Egli ha confermato per filo e per segno l’episodio, aggiungendo che aveva avuto l’impressione che il Principe ereditario volesse dirgli ancora qualcosa, e che egli stesso avrebbe voluto esporre alcune riflessioni, ma si trattenne perché non incoraggiato. Gli rimase l’impressione che il Principe ereditario avesse qualcosa da dire, poiché aveva incominciato dicendo: «Ho notato anch’io lo stesso fatto: strano… », e non aveva aggiunto altro).
Quale significato poteva avere quella ostentata fortificazione al Brennero? Umberto ritiene che forse Mussolini, non avendo ancora preso una decisione, calcolando la impossibilità per noi di fare seriamente la guerra, temeva un colpo di mano di Hitler contro l’Italia.
«Tenga presenti – prosegue Umberto – le date delle vittorie tedesche in Francia e nel Paesi Bassi: l’11 maggio Hitler attacca l’Olanda; il 25 maggio é ad Abbeville, ma rimane Dunkerque con una larga zona in mano inglese; il 4 giugno cade Dunkerque; soltanto il 14 giugno cade Parigi, e il 20 è presa Lione e colonne tedesche si avviano verso Grénoble. Fino all’11 maggio era in atto la famosa guerra statica in Occidente, e Mussolini poteva anche avere l’impressione che Hitler potesse tentare un accordo con l’Inghilterra e lasciarci a terra. Era pertanto utile mantenere una posizione di osservazione, forte sul Brennero perché si sapeva che già due divisioni di “SS” al completo ed elementi di una terza si stavano allestendo nella zona di Innsbruck: divisioni che potevano essere il nucleo di un potente esercito germanico, che ci avrebbe inflitto un duro castigo se nel momento più favorevole per la Germania nei non avessimo tenuto fede allo sciagurato patto d’acciaio. Quando Mussolini prese una decisione, cioè il 26 maggio nella riunione delle supreme autorità militari, la catastrofe francese si delinea già grandiosa, ed egli può dire avendo apparentemente ragione per il settembre tutto sarà finito ed ho bisogno di alcune migliaia di morti per sedere al tavolo della pace quale belligerante vittorioso. Naturalmente, le fortificazioni alla frontiera francese non avevano alcuno scopo serio: la Francia aveva ben altro cui pensare. Le fortificazioni alla frontiera tedesca avevano invece uno scopo prudenziale che, purtroppo, divenne superfluo ».
– Di modo che – osservo – Cianetti poteva avere avuto anche l’impressione che l’Italia sarebbe rimasta neutrale, prendendo le precauzioni contro un eventuale colpo di follia hitleriano. D’altronde nell’aprile del 1939 Mussolini aveva, fatto sapere a Hitler che l’Italia non avrebbe potuto entrare in una guerra «che prevedeva lunga e durissima».
Il crollo francese
«Esattamente – dice Umberto – ora quel che molti pensavano, sperando che la Francia sapesse tener testa alla Germania meglio di quanto non avesse potuto fare la povera Polonia. La Francia, aveva un armamento poderoso, non eccessivamente inferiore a quello tedesco, e si poteva sperare che riuscisse a stabilizzare la guerra verso la frontiera. Nel gioco italiano era già un forte vantaggio che Germania, Inghilterra e Francia si logorassero in una guerra senza decisione. Viceversa, il. crollo inopinato della Francia lasciò l’Italia allo scoperto: e allora, o marciare accanto alla Germania, o disporci a subire a nostra volta l’invasione tedesca. Si ha un bel dire oggi che potevamo restare neutrali: in quel momento la, macchina tedesca pareva davvero irresistibile, e si doveva scegliere fra lo starle accanto o farsene stritolare. Non è nemmeno pensabile che l’Italia potesse, nel 1940, fare il bel gesto di opporsi a Hitler! Occorreva avere uno spirito altamente profetico, prevedere gli errori commessi poi da Hitler e che gli valsero la perdita della guerra. Il crollo francese del 1940 segnò anche il nostro destino, esattamente come una valida resistenza della Francia avrebbe dato all’Italia infinite possibilità per l’avvenire» .