Una divisa da Grande Ammiraglio
* Dovevamo dedicare due generazioni alla valorizzazione dell’Etiopia: questo l’impegno preso da Mussolini col Re mio padre, il quale era dell’opinione che avessimo ormai forzato la fortuna
* Mussolini disse al Re che accettava si le offerte di alleanza di Hitler, ma con l’intendimento di fargli da moderatore
* Il Re venne messo dinnanzi al fatto compiuto della sua nomina a Primo Maresciallo dell’Impero: e mantenne della cosa un ricordo molto spiacevole
Dopo la nostra azione in Albania – domando a Umberto – era ancora possibile fermare la corsa
alla guerra?
Umberto riflette alquanto prima di parlare, poi, lentamente, dice:
«Per fare la guerra non è vero che occorra essere almeno in due a volerla: basta la volontà di uno solo, ed é ben questo che oggi tiene sospesi gli animi di tutti i popoli. Un solo uomo che abbia vasti poteri e che si faccia illusioni sulla propria forza e sull’altrui debolezza può costringere gli altri ad accettare il duello. In quel periodo, l’Italia aveva già compiuto sforzi sovrumani, che la sua struttura economica aveva sopportato a stento, Ione perché sorretta da un eccezionale senso euforico. Avevamo ottenuto successi, ed occupato territori per la cui valorizzazione avremmo dovuto impegnare tutte le nostre energie per almeno mezzo secolo. Non è pensabile che Mussolini volesse ottenere di più: e tutte le dichiarazioni, a volte tumultuose e contraddittorie, che faceva ai suoi collaboratori e che conosciamo attraverso le memorie di Ciano e di Bottai specialmente, erano nel senso che dovevamo dedicare due generazioni alla valorizzazione dell’Impero. In questo senso egli si era replicatamente impegnato col Re mio padre, il quale era dell’opinione che avessimo già forzato la mano della fortuna. Ma non era Mussolini, in questo caso, il ” deus ex machina ” della situazione: era l’altro, quello di Berlino, che aveva visioni invece di avere idee politiche. Pare che Mussolini, nei numerosi colloqui che ebbe con Hitler per il patto d’acciaio, avesse specificato ben chiaro sia a Hitler che a Ribbentrop che intendeva lasciare alla Germania l’eventuale direzione d’una guerra, ma voleva essere lui il cervello politico della combinazione. Non sarebbe stato un male: Mussolini, prima della guerra, era si già su un piano d’esaltazione pericolosa, ma non fino al punto di volere una guerra generale prima del 1944».
-Ma non avremmo potuto sganciarci in extremis dalla Germania? – domando.
Umberto non crede che, al punto in cui erano arrivate le cose, fosse possibile modificare lo schieramento.
«La situazione – dice era stata creata negli anni precedenti, e gli ingranaggi diplomatici e militari delle maggiori potenze avevano preso una determinata direzione. Occorreva, dall’altra parte della barricata, un uomo chiaroveggente e autorevole al potere, lo stesso Churchill, per esempio; non vi fu, e le macchine camminarono senza che i loro capi sapessero se li portavano bene o male. L’America avrebbe potuto fare molto, se Roosevelt avesse avuto più duttilità e più sincero desiderio di evitare la guerra ma i suoi appelli a Mussolini ebbero più sapore di minaccia che di amichevole invito; e tuttavia il popolo americano era ben lungi dal pensare a fare una guerra ideologica. Restava l’Inghilterra: ma sappiamo bene come le cose si svolsero, con un Chamberlain indeciso, irritato per la malafede di Hitler a Monaco, incapace di tendere seriamente la mano all’Italia, che non attendeva di meglio. Non penso che si dubiti della sincera volontà di pace del Re mio padre e della sua scarsa simpatia per il socialnazionalismo del quale non apprezzava certa truculenza dottrinale e certe non mascherate tendenze al dominio del mondo. Lo stesso Mussolini tra il 1934 e il 1940 non nascondeva al Re mio padre le sue preoccupazioni per le mire smisurate di Hitler, e quando lo sperato accordo con l’Inghilterra svanì, disse al. Re mio padre che “accettava le reiterate offerte di alleanza che gli faceva Hitler, proponendosi di fare da freno e dar moderatore”. Si illuse: Hitler non poteva frenarlo nessuno, poiché si riteneva chiamato da un suo Dio mitologica a rigenerare il mondo».
– Ma come spiegare il tramonto del «gentlemen’s agreement ?
«Bisogna conoscere il gioco politico, – risponde Umberto – anzi la vita pubblica britannica, per capire questa e altre cose. Mentre nei paesi latini é il governo che, servendosi della stampa, aizza e dirige l’opinione pubblica, in Inghilterra è l’opinione pubblica che dirige la stampa verso determinate conclusioni, che il governo deve accettare pena la sua caduta dal potere. Nel nostro caso vi fu una sollevazione dell’opinione pubblica britannica di ampiezza davvero impressionante ».
– Ma non é strano – osservo – che il fanatismo inglese si sollevi ogni volta, e soltanto allora, che gli interessi britannici sono toccati?
Umberto sorride e continua: «Quella è la regola del gioco, e non serve a nulla il recriminare. La politica è una scienza quasi esatta, nel senso che bisogna fai corto della realtà e non della fantasia, lasciando solo un’esigua percentuale all’imprevedibile. Certo, lei vuole alludere alle sobillazioni che si scoprono quasi sempre dietro ai cosiddetti moti spontanei delle piazze; ma, siamo giusti, siamo poi sicuri che da parte nostra si sia fatto tutto il possibile per chetare e i malumori dell’opinione pubblica britannica? Certi discorsi non erano fatti per tranquillizzare gli inglesi, a volte erano anzi addirittura tali da riaprire piaghe che si dovevano caso mai blandire, Non v’era, in verità, segno di distensione né da una parte né dall’altra: quelli volevano che noi facessimo un passo se non umile almeno non tracotante; da questa parte si voleva che gli inglesi ingoiassero la pillola amara senza nessuna soddisfazione per !I loro amor proprio. Il conte Ciano, poco prima del famoso convegno di Monaco, mi diceva che “era spiacevole che Mussolini avesse posto a capo dell’ambasciata di Londra la miglior testa diplomatica fascista per obbligarla a fare da passacarte”. Non so che cosa avrebbe potuto ottenere il conte Grandi a Londra: in ogni caso, essendo uomo duttile e scaltro, qualcosa di meglio del niente avrebbe potuto ottenere. Sicché, avvenne quel che era prevedibile: al momento della grande crisi, opinione pubblica e governo britannico erano avversi all’Italia, che accomunavano ormai nell’odio per il “mostro” biblico a due teste».
Un ricordo spiacevole
– Ma i maggiori esponenti del fascismo – dico – non erano forse contrari all’avventura con la Germania?
«Non potevano – dice Umberto – ormai fare più nulla. Ormai il capo li aveva distanziati, aveva preso tutta per sé la gloria della vittoria etiopica e di quella di Spagna, ed essi non avevano alcun titolo per tentare di richiamare sii di loro l’attenzione dell’opinione pubblica che si era concentrata tutta su Mussolini. Ormai non si trattava più di fascismo ma di mussolinismo: forse in contrapposto alla ” Fuehrerturm ” che a Roma in un discorso in Campidoglio, nel giugno 1938, venne ad annunciare il ministro tedesco Franck. Ricordo che l’on. Bottai, allora, commentò in modo molto irritato questa nuova teoria tedesca, temendo, a ragione, che Mussolini ne avrebbe fatto poi tesoro. In sostanza, si trattava del dittatore eretto a sistema. Mi parve a quel tempo che i migliori gerarchi fascisti fossero molto più preoccupati della degenerazione del regime e dell’ abbandono virtuale delle teorie corporativiste anziché detta politica estera tranne il conte Ciano, che ad onor del vero si batté con tutte le sue forze per scongiurare il connubio italo-tedesco. Infatti, avvenne proprio quello che Ciano e altri temevano: Mussolini si fece ipnotizzare da Hitler lo imitò in tutto e per tutto, non volle mai restare indietro e per conseguenza gli corse dietro anche nei precipizi».
Dico, a questo punto, che in Italia, allora, si disse che la faccenda del grado di Primo Maresciallo dell’Impero avesse molto irritato il Sovrano, e che non sì comprese la ragione dell’assenso reale a quella nomina. Umberto scuote il capo e dice: « Se lei ricorda, quel provvedimento fu preso in modo abilissimo, per evitare appunto un preventivo dissenso con la Corona. Il 30 maggio 1938 Mussolini pronunziò in Senato un discorso sull’ordinamento militare, preannunzíando che in caso di guerra sarebbe stato unificato il comando supremo per le tre grandi ami. In serata, una grande manifestazione di popolo – dica pure, se ne ha voglia, che era una cosa spontanea – andò a inneggiare sotto il balcone di Palazzo Venezia a “Mussolini capo supremo”. Successivamente, alla Camera, un gruppo di deputati si riunì e fu proposto un disegno di legge per la nomina dei due Primi Marescialli dell’Impero, uno dei quali era Mussolini. Il disegno di legge fu votato per acclamazione, prima alla Camera e poi al Senato. Poteva il Re mio padre rifiutare la sanzione? Veda, troppo spesso Mussolini metteva il Re dinanzi a una situazione senza uscita: erano ogni volta piccole cose per le quali non valeva la pena di fare una tragedia. Così fu anche quella volta: ma il Re mio padre ne conservò un ricordo estremamente spiacevole».
La conseguenza fu che Mussolini non ritenne puramente simbolico quel grado, ma ne fece ampio sfoggio. Era stato caporale: divenne il più elevato in grado fra i supremi ufficiali dell’esercito, più di Badoglio, di Caviglia, di De Bono, di Cevallero. Pur presiedendo le riunioni dei capi militari, non riusciva a comprendere la vastità dei problemi esaminati: sicché poté successivamente dire che era stato tenuto all’oscuro della situazione degli armamenti.
«Su questo punto – osserva Umberto – non aveva ragione di parlare di inganno o di tradimento. Le stesse notizie precise e dettagliate sulla consistenza dei depositi e sulla situazione delle nuove costruzioni le conosceva lui come le conosceva il Re mio padre. Lo dissi anche al ministro Thaon di Revel, che in un giorno che non saprei precisare, ma che deve essere sul finire di agosto del 1938, mi narrò che Mussolini gli aveva tenuto uno strano discorso a proposito di cannoni ».
Materiali inadatti
«Pare che gli chiedesse se era a conoscenza che difettavamo di cannoni, e Di Revel rispose che lo sapevano tutti. Mussolini gli rispose che soltanto a lui non lo avevano detto. A mia volta spiegai a Thaon di Revel che si trattava d’una “boutade” poiché il capo del governo riceveva tutti gli specchi – lei è stato ufficiale e conosce questa parola – della consistenza di magazzino. Del resto, era un conto che avrebbe potuto fare chiunque: si sapeva quale era la consistenza a fine 1934, quante ami erano state dislocate in Etiopia, quante in Spagna, e quante ne erano state costruite nel frattempo: non ci voleva ma grande abilità per conoscere la reale situazione. La stessa osservazione, stranissima, Mussolini fece quasi un anno dopo, in Consiglio dei ministri, mi pare nell’aprile 1939. Eppure, mi risulta che sia il gen. Dall’Olio, che era uomo di grandi qualità tecniche e morali, che il suo successore gen. Favagrossa gli abbiano periodicamente consegnato relazioni esaurienti. Il fatto è che Mussolini preferiva credere alle sue speranze anziché alla realtà che gli veniva fatta conoscere. Per esempio, egli parlava di milioni di baionette, e sul piano politico annunziava di poter mobilitare 126 divisioni nella primavera del 1940: sapeva benissimo di non poterlo fare, poiché era stato stabilito dallo Stato Maggiore – sentito il parere di Mussolini – di ridurre il numero delle divisioni mobilitabili da 126 a 73; come sapeva che di queste 73 divisioni soltanto 19 potevano essere al completo di personale, quadri ed armamenti. Del resto, non è una novità spiegare che questo armamento era di relativa efficacia, in quanto si trattava in gran parte di materiale residuato della guerra del ’18, assolutamente inadatto ad affrontare il materiale similare in possesso di francesi e inglesi, e perfino di jugoslavi. Sa bene, non é vero. che cosa fossero i nostri carri amati? E che cosa fossero i nostri cannoni anticarro, per di più col munizionamento razionato? Dunque… ».
Intanto nei suoi rapporti col Sovrano, Mussolini continuava a rimanere sempre ossequioso e deferente, e quando voleva superare un ostacolo si serviva o di una campagna di stampa bene orchestrata o di un fatto compiuto del quale poi si scusava presso il Sovrano come di atto commesso contro il suo beneplacito ma che non poteva contrastare per evidenti ragioni di prestigio. Mussolini era maestro nell’arte di presentare alternative impossibili: ogni piccola cosa minacciava di diventare principio di sovvertimento dello Stato. Poteva il Re sconfessarlo? Su questo punto Umberto è tassativo: «Non si devono chiedere cose impossibili nemmeno a un Re! Non era assolutamente possibile – dice fare una azione che non fosse di accorta moderazione: non vi era scelta. O limitarsi a moderare, o rompere. Che cosa sarebbe successo, in tal caso? Vi fu un momento davvero grave per la faccenda del grado militare: ma si immagina un Re costituzionale, per di più in regime di dittatura in quel momento popolarissima negare il visto a una solenne deliberazione delle due Camere soltanto perché il Capo del governo si pone a pari grado con lui?».
A questo punto Umberto mi narra un gustoso episodio di cui fu testimone a Napoli, durante la magnifica parata navale che fu fatta in onore di Hitler. L’allora Principe ereditario era salito a bordo della «Cavour», un po’ in anticipo, ed essendosi imbrattate le mani toccando qualcosa che non ricorda, chiese di essere accompagnato ove potesse lavarsi.
«Mi guidarono – racconta Umberto – in un appartamento che mi dissero che era destinato ad accogliere il Capo del governo. Nell’attraversare la cabina principale dell’appartamento, notai bene stesa sul letto una fiammante divisa di Grande Ammiraglio, e chiesi chi mai potesse indossarla, non essendo presente a Napoli l’unico Grande Ammiraglio che l’Italia avesse mai avuto, Thaon di Revel. Mi fu detto che era destinata a Mussolini, ma non seppi chi avesse preso il singolare provvedimento, che mi giungeva del tutto nuovo. Tornato sul ponte, riferii la cosa a un gruppo di alti ufficiali, ma francamente debbo dire che ebbi l’impressione che non tutti condividessero la mia sorpresa e non tutti davano a intendere di essere scandalizzati .
A mia volta, riferisco a Umberto lo stesso episodio come me lo aveva raccontato qualche anno dopo, a Spalato ove comandava il dipartimento del Basso Adriatico, l’ammiraglio Bobbiese. il quale aveva comandato la Cavour proprio al tempo della parata di Napoli. Disse Bobbiese che l’uniforme era stata mandata dal Comando Marina, con l’ordine che venisse consegnata a Mussolini. L’ammiraglio Bobbiese era uno dei non molti ufficiali superiori che fossero sinceramente legati al partito fascista, pur facendo la premessa che naturalmente anteponeva in ogni caso la fedeltà al Re alla fedeltà al partito; tuttavia, in quell’occasione – come disse poi, e non era uomo da vanterie puerili – aveva ricevuto un colpo in pieno petto, geloso – come ogni buon ufficiale della Regia Marina della serietà dell’uniforme. Disse che entro di sé aveva fatto proponimento che, nel caso che Mussolini avesse indossato la divisa di Grande Ammiraglio, avrebbe immediatamente chiesto il collocamento in pensione. Accompagnò Mussolini nel suo appartamento, che era quello dell’ammiraglio, e rimase sulla soglia ad attendere gli avvenimenti. Mussolini si avvicino al letto, osservò l’uniforme e chiese di chi fosse. Bobbiese rispose: «E’ stata mandata per voi, Duce. Mussolini si volse a guardare l’ammiraglio, che sostenne lo sguardo senza battere ciglio. Fu un attimo, poi Mussolini disse a mezza voce: «Fatela portare via».
Umberto è soddisfatto per la conferma venuta da altra e sicura fonte, come quella dell’ammiraglio Bobbiese, ma non è del pari soddisfatto per una frase che io dico a deplorazione delle ambizioni di Mussolini. Dice: «Non credo che fosse proprio lui ad avere di queste idee. Mussolini, malgrado taluni suoi difetti di carattere, conservava anche negli ultimi tempi un certo senso del limite, anzi più che del limite, del ridicolo. Non può avere pensato di farsi Grande Ammiraglio. Ritengo più probabile che la cosa sia stata organizzata da qualcuno di quella falange di adulatori che lo seguiva dappertutto, e che si faceva in quattro per soddisfare qualsiasi suo capriccio, vero o presunto».
– Ma allora perché Mussolini non rifiutò il grado di Primo Maresciallo dell’Impero? – domando.
Umberto osserva che in quel caso Mussolini aveva voluto il grado per farsi forte presso i generali, dei quali non si fidava eccessivamente perché li riteneva come in genere erano, legati alla fedeltà al Re prima che a qualsiasi dovere politico. Non che sia stata cosa ragionevole per Mussolini accettare quel grado, intendiamoci: su questo punto Umberto non ammette discussioni. Ma forse Mussolini poté avere allora una sua anche se strana giustificazione, mentre la divisa di grande Ammiraglio sarebbe stata una inutile e provocatoria parata di strapotenza, che la Marina non gli avrebbe mai perdonato.