Ho portato con me un lungo elenco di domande che avrei voluto rivolgere nei giorni precedenti, ma rimaste fuori discussione perché i colloqui avevano sempre avuto un loro spontaneo germinare.
Scelgo un foglio più grande degli altri, e dichiaro: Forse, dato l’argomento, la risposta sarà lunga.
“Riguarda l’amnistia che nel 1946 io desideravo in un modo, e mi si voleva far firmare in un altro?”
No. Questa domanda sarebbe venuta dopo; comunque, potrei avere senz’altro una spiegazione?
“Era mio intendimento di concorrere nel più breve tempo possibile e nel migliore dei modi, sopra tutto senza interminabili processi, alla concordia degli italiani con un ampio gesto di clemenza; è consuetudine millenaria della mia Casa, che un gesto di clemenza venga compiuto da colui che sale al trono. Volevo farlo. Il ministro Lucifero, sa che ero deciso a non firmare un decreto di amnistia come quello che mi si voleva far firmare… tanto per non dirmi di no. Era un voler annullare la mia volontà di equilibrio, di comprensione…”
Taluno fa colpa a Vostra Maestà di aver firmato, soprattutto come Luogotenente, troppi decreti che non potevano fare il vantaggio della Monarchia, tanto meno di quella parte della Nazione, non di certo in minoranza, estraniata dai vantaggi improvvisi d’un dopoguerra che gli alleati stessi, pur senza volerlo, concorsero a rendere poco chiaro e non privo di ingiustizie. Ciò che essi, lealmente, hanno in seguito riconosciuto.
“Le mie logiche esitazioni a firmare, le opportune tergiversazioni del mio collaboratore più diretto, la giusta richiesta di modificazioni, tutto spiega quale era il mio stato d’animo effettivo”.
Perché Vostra Maestà, quando era principe ereditario ed a Brindisi, non assunse il comando delle forze italiane di liberazione?
“Lei sa benissimo ciò che mio padre ed il suo governo, nella speciosa situazione di cobelligeranti, potevano fare, e ciò che non potevano fare.. Il mio desiderio di condividere disagi e pericoli con le nostre truppe in prima linea era tale, che giunsi in alcune città nei momenti più difficili e più appassionanti, accolto ovunque, dico ovunque, da spontanee manifestazioni”.
E mi ricorda Firenze, ove nell’ora della liberazione attraversò la città a fianco dell’on Calamandrei; e Bologna, ove ebbe alla sua destra, passando tra il popolo plaudente il sindaco comunista Dozza; e a Parma, accanto al capo dei partigiani; e a Verona, a Milano…
“A Milano, no; a Milano accadde qualcosa di strano, non ascrivibile certo alla volontà di quella industre e generosa popolazione.”
Mi parla degli incidenti nella capitale lombarda, non spontanei come le precedenti manifestazioni favorevoli; e dovuti a una improvvisa campagna ostile, con manifesti contrari all’allora Principe di Piemonte, che tappezzarono d’un tratto la città , stampati in precedenza e dietro ordini precisi poiché il viaggio di Umberto a Milano venne deciso dal Luogotenente stesso ed all’ultimo momento.
“ Fui a Verona con il ministro Casati e l’on Gasparotto; festosa accoglienza. A Fossoli visitai la tomba del valoroso figlio di Gasparotto. Non cercavo soltanto reparti dell’esercito e favorevoli. Quando l’on Boldrini chiese di presentarmi la sua divisione di partigiani aggregati alla divisione “Cremona” aderii senz’altro. Passai tra mitra spianati e volti seri, e forse ci divideva più l’apparenza che la sostanza, non certo l’amore per la Patria”.
Quale ricordo Vostra Maestà conserva degli ultimi giorni di lotta serrata con il governo?
“Non so nutrire rancori, ma non so neppure dimenticare. Al presidente De Gasperi, sia durante la luogotenenza che all’ascesa al trono, godeva della mia piena stima, poiché ripagava lealtà con lealtà, era un capo di governo di fronte al capo dello Stato, entrambi desiderosi di operare nell’esclusivo interesse del Paese.
Circa gli avvenimenti degli ultimi giorni e la mia partenza mentre ero pur sempre capo dello Stato, lei mi comprenderà come io non intenda uscire dal riserbo che mi sono imposto e che è mio dovere di italiano e di Re”.
S’accorge che io esito a motivo d’una domanda molto importante che ora vorrei porre.
“Dica pure: sono ormai dell’avviso che tacere e’ favorire i si dice, frutto dei si spera degli altri”.
E l’ammiraglio Stone? Si è ben poco scritto e parlato dell’azione del capo della commissione alleata…
Tace un istante, poi, marcando le parole:
“Stone non era e non è l’america.”
Breve pausa; aggiunge:”Ho avuto ed ho per gli stati Uniti, per la loro salda struttura democratica, per l’elevato tenore di vita raggiuntola quel proletariato industriale ed agricolo, per gli uomini eminenti che in ogni campo han dato e danno all’umanità intera, un riconoscimento senza riserve.
Insisto con Umberto II perché in riferimento al periodo del referendum e del dopo referendum, m’informi circa gli effettivi rapporti tra la Corona e il capo della commissione alleata.
Taluno può pensare che gli alleati in un modo o nell’altro influirono in quel periodo sulle sue estreme decisioni.
“Gli alleati non c’entrano. La volontà degli Stati Uniti e dell’Inghilterra circa la politica interna italiana, era quella espressa nelle clausole dell’armistizio:”nessuna ingerenza”.
Non mi do per vinto. Si sa che gli uomini preposti all’applicazione di trattati o norme, spesse volte per iniziativa propria, o per mancanza d’iniziativa, specie se non diplomatici, supervalutano o sottovalutano le situazioni, donde un vantaggio anche involontario a una delle parti.
“Non so se per quieta non movere o perché preoccupato della fine del suo predecessore, generale Mason Mac Farlane, l’ammiraglio Stone dette agli italiani l’impressione di voler dare un colpo al cerchio e uno alla botte , lasciano così che il cerchi si stringesse e la botte si sfasciasse”.
In questa immagine la botte non è la monarchia ma la serenità nazionale italiana durante e dopo il referendum.
Umberto spiega immediatamente: “Ripeto, Stone non era e non è l’America. Alle prime avvisaglie di contrasto fra il parere della Corona e quello del governo, forse nella tema che io prendessi decisioni improvvise, mi disse “ non e’ il caso di precipitare gli eventi: è la suprema corte che dovrà pronunziarsi in modo definitivo. Ma quando io, che ero dello stesso avviso, dissi al governo che occorreva aspettare le decisioni finali della suprema corte, il governo non aspettò, e Stone non disse al governo quello che aveva detto a me!”
Precedentemente l’ammiraglio aveva dichiarato:” il Re ha ragione”, ma il giorno dopo, in seguito ad un articolo apparso a Londra e in cui si diceva che egli simpatizzava per Umberto ( trucco giornalistico degli oppositori), Stone mutò opinione. Persino la promessa fatta di garantire, in caso di necessità la vita del Re, non venne confermata. Poteva il Re usare al buon Stone il riguardo in extremis di confidargli l’ora della partenza e dove andava? Era ormai convinto che gli stati uniti lo avrebbero saputo prima e a mezzo delle organizzatissime agenzie giornalistiche americane!
Riferitomi da fonte attendibile, dopo la visita di Vostra Maestà al Pontefice prima della partenza per l’esilio, pare che Sua Santità abbia detto:”Era un Re molto comprensivo ed umano…”
Lo sguardo serio di Umberto II m’interrompe; forse il ricordo di quella visita domina fra i suoi ricordi; dopo un istante mormora:
“Quando l’aereo che mi portava verso l’esilio fu alto su Roma, il mio sguardo si soffermò sul Quirinale, su San Pietro e sui quartieri più poveri della capitale, ove tante volte, anche non riconosciuto, mi ero recato per studiare da vicino i vari problemi delle classi lavoratrici….”
Una forte domanda che temevo di non riuscire a porre, specie per il modo e il come, è rivolta prima che Umberto mi congedi.
Se scoppiasse una guerra, se l’Italia dovesse subire una invasione, o fosse nel pericolo di una guerra civile…
Si volge di scatto e dichiara fermamente:
“Il mio augurio è che nulla di ciò accada. Ho detto più volte e lo ripeto: non sono per il tanto peggio, tanto meglio. Innanzi tutto, sempre l’Italia! Ma, se necessario, la mia vita stessa, e in qualsiasi contingenza…”