IX
2.266.043 ITALIANI FURONO ESCLUSI DAL VOTO
Tutto quanto fin qui, sia pur succintamente, esposto ci pare più che sufficiente ad infirmare la validità del referendum.
Ma anche l’esame dei dati numerici forniti dal ministero degli Interni e poi dalla Corte di Cassazione, che costituiva l’ufficio centrale elettorale, induce alla stessa conclusione.
Per chi voglia un’ampia trattazione dei risultati numerici, rimandiamo all’accurato studio del professore Agostino Padoan, pubblicato nel Libro azzurro sul referendum 1946 .
Qui ci limiteremo a pochi dati e poche considerazioni, che ci sembrano esaurienti.
Si è scritto da più autori delle pressioni esercitate dal ministro Romita, a mezzo del segretario generale della Camera dei deputati, Cosentino, e del consigliere della Corte di Cassazione, Vitali, presso il presidente della Corte, Pagano, per affrettare la riunione del collegio, dicendo falsamente che il Re voleva partire il giorno 10 giugno 1946.
In quasi tutti gli studi da noi man mano citati, sono ricordati i particolari di questa grave inframmettenza, che si giudica da sé. Scoperta per caso dal ministro Falcone Lucifero, a mezzo del sottosegretario alla presidenza del consiglio, Arpesani, si ricercò di notte il presidente Do Gasperi e Lucifero telefonicamente gli denunciò l’azione del Romita.
De Gasperi fece rinviare quella riunione escogitata dal Romita; ma ne fu fissata un’altra nel pomeriggio dello stesso giorno! Comunque, questi fatti provano l’agitazione dei ministri dopo il referendum, di cui parleremo più ampiamente in seguito (capitolo XIV), e le loro pressioni sulla Corte di Cassazione.
Nel referendum c’erano stati 1.498.136 voti nulli (numero poi rettificato in 1.509.735 dall’Istituto Centrale di Statistica) e il governo non voleva che si tenesse conto di questo alto numero di voti nulli, giacché, tenendone conto, la modesta vittoria della repubblica appariva ancora più irrisoria.
Non solo. Ma il grande timore era nel fatto che ” con la maggioranza repubblicana ridotta a sole poche centinaia di migliaia di voti, l’accoglimento anche di pochi ricorsi monarchici potrebbe bastare a togliere la vittoria alla repubblica “.
Anche su questo punto vi furono pressioni sui componenti della Corte, ove, nella seduta del 18 giugno 1946, vi fu battaglia. Pure questa riunione si era voluta affrettare e il ministro guardasigilli Palmiro Togliatti aveva mandato duecento persone ad aiutare i funzionari della Corte per accelerare le pratiche di esame dei verbali e documenti, onde poter giungere al più presto all’agognata seduta definitiva.
Ezio Saini precisa: ” Era in quel giorni opinione diffusa che il presidente di sezione Saverio Brigante (l’eminenza grigia di Togliatti) fosse segretamente iscritto al P.C.I. e che si tenesse in continuo contatto con Togliatti: si ritenne che proprio lui gli suggerisse l’innesto dei duecento funzionari’di fiducia’in soprannumero. Brigante a sua volta contava sulla ‘collaborazione’ del presidente di sezione Colagrosso 3 “.
Corrado Pecci dà a tal proposito i seguenti particolari:
Il capo del comunismo italiano (Togliatti) entrò nel vivo della manipolazione del referendum non solamente influenzando con la sua forte personalità e autorità il consiglio dei ministri, al quale partecipava come ministro della giustizia, ma direttamente mettendo le mani nella fluida pasta del computo dei voti… Togliatti intervenne attraverso un componente della Corte Suprema a lui devoto e legato, il presidente Saverio Brigante. Attraverso costui vennero mobilitati duecento piccoli funzionari e impiegati di sicura fede con il compito di sbrigare la revisione dei tredicimila verbali. Ciò era contro la legge. Simile operazione apparte, neve al giudizio della Corte. Ma essa venne effettuata lo stesso. La fretta presiede sempre ai grandi mutamenti storici, sia che si debba tagliare la testa di un re, sia che si debbano revisionare dei verbali 1 “.
E Oreste Mosca precisa che per affrettare i lavori della Corte di Cassazione ” all’uopo si ebbe dal ministro di grazia e giustizia (Palmiro Togliatti) la destinazione di un certo numero di funzionari di quel ministero 2 … Il
La maggioranza della Corte, contro la richiesta e il Darere del procuratore generale Pilotti e contro il voto dello stesso primo presidente Pagano, e cioè con dodici voti contro sette, in accordo con l’opinione del governo, accolse la tesi di considerare non votanti coloro che avevano votato scheda nulla o bianca.
I voti attribuiti alla repubblica erano stati 12.717.923.
I voti attribuiti alla monarchia erano stati 10.719.284.
Quindi il distacco era di due milioni. Ma se ‑ come il diritto e la logica impongono ‑ si considerano votanti anche coloro che hanno votato schede bianche e nulle, che furono, come abbiamo visto ben 1.509.735, il distacco si riduce allora a meno di mezzo milione di voti e cioè a 488.904.
Ma questo distacco scompare addirittua se si tiene conto, come si deve tener conto, di coloro che non poterono partecipare al referendum istituzionale: essi furono nientemeno che 2.266.043. E precisamente: 250.000 prigionieri di guerra non rimpatriati; sfollati non rientrati nelle originarie residenze; cittadini all’estero non rimpatriati; ufficiali delle forze armate della P.S.I.; cittadini nelle carceri e nei campi di concentramento per motivi politici; cittadini sottoposti a procedimenti di epurazione, eccetera.
Queste varie categorie, secondo l’Istituto Centrale di Statistica, nel ricordato studio, ammontavano a 1.516.043 persone 3.
Ma a tale cifra occorre aggiungere gli elettori della provincia di Bolzano e della Venezia Giulia valutati in circa 750.000 persone 4.
La somma di queste due cifre corrisponde appunto a quei 2.266,043 cittadini italiani, che non poterono esprimere il proprio voto sul vitale problema istituzionale della Patria.
Cioè, concludendo, anche se si volessero accettare i dati ufficiali, di fronte ad una maggioranza per la repubblica di 488.094 voti, è certo che vi furono ben 2.266.043 cittadini italiani che non poterono partecipare al referendum.