La sera del 31 dicembre Umberto di Savoia, che si era assentato per uno dei suoi frequenti e rapidissimi viaggi in Spagna, è rientrato a Cascais. Tutti gli anni c’è per lui un appuntamento al quale non vuole mancare: la colazione di Capodanno nella residenza del Nunzio apostolico a Lisbona, monsignor Massimiliano de Furstenberg, che è un suo grande amico. Il Natale, di Umberto, anche quest’anno, è trascorso lontano dai familiari: Gabriella e Beatrice erano a Merlinge, presso Maria José, Maria Pia era a Versailles con il marito e i figli e il principe Vittorio Emanuele in viaggio nel Messico. Vicino a Umberto c’era soltanto la seconda delle sue sorelle, Giovanna di Bulgaria, che da un anno si è stabilita a Estoril : in casa di lei egli ha cenato la sera della vigilia prima di recarsi alla Messa di mezzanotte dei pescatori, nella piccola chiesa parrocchiale di Cascais. Ma la sera del 31 dicembre, ad attendere l’inizio del 1966, che è il ventesimo anno del suo esilio Umberto è rimasto solo. Si è fatto servire la cena su un cabaret, che un domestico ha deposto sullo scrittolo del suo studio, ed è rimasto tra i suoi libri e le sue carte. Così ha atteso l’anno nuovo davanti alle immagini di vent’anni della sua vita, solo con i suoi pensieri e con i suoi ricordi.
Sono molti, venti anni. E quante cose sono accadute, dal giorno del suo addio all’Italia: la morte del padre ad Alessandria, il trasferimento in Svizzera di Maria José, assieme al figlio, dopo la malattia che minacciava di farle perdere la vista, la morte di Elena a Montpellier, poi la partenza delle figlie: prima Maria Pia, poi Gabriella, infine anche Beatrice, colei che più a lungo gli ha tenuto compagnia. Umberto è solo, ma non è, la solitudine che gli pesa. Solo, anzi, volle essere a Londra, nell’aprile 1964, quando vi si recò all’insaputa dei suoi per sottoporsi al difficile intervento chirurgico che fece temere per la sua vita. La malattia non ha lasciato strascichi e ora la guarigione appare completa. Anzi, a chi lo vede adesso, Umberto sembra ringiovanito. In settembre ha compiuto 61 anni. Il suo umore è eccellente, è l’umore di un uomo in buona salute, un uomo sereno, in pace con se stesso e con gli altri.
«Nulla è cambiato nel mio amino in questi venti anni. Non avevo risentimenti verso nessuno e non ne ho neanche adesso», egli dice. « E’ nella mia natura accettare le cose della vita così come vengono, tenere per me i miei dolori e le poche gioie. Ma non voglio affatto apparire come una colomba di bontà. Chi mi conosce poco chi mi giudica superficialmente, si è fatta di me un’immagine patetica, pensa che il passaggio dal trono all’ esilio sia stato un dramma ma non è così: io non rimpiango nulla di ciò che ho lasciato in Italia. Fin da ragazzo sono stato abituato a tenermi preparato a tutto. Così, dopo essere vissuto fino a quarantadue anni in magnifici palazzi. mi trovai subito bene arrivando a Cintra, in una casa dove mancava la luce elettrica. Per me fa lo stesso dormire sotto una barca o al Quirinale».
Quando si stavano scavando a Cascais le fondamenta della nuova Villa Italia, l’architetto aveva progettato un imponente vestibolo con un corridoio fiancheggiato da statue. Umberto bocciò il progetto: «Voglio solo una casa che stia in piedi e che non prenda fuoco». Teme gli incendi. soprattutto per la sua ricchissima raccolta di stampe che riguardano un unico soggetto: i personaggi di Casa Savoia. Le stampe sono ordinate in grandi cartelle di tela rossa negli scaffali della biblioteca. In tutti i suoi viaggi continua a ricercarne nelle botteghe degli antiquari e anche una parte della sua corrispondenza riguarda questa continua ricerca.
Umberto viaggia molto organizzando da solo prenotazioni orari e itinerari Lo accompagna sempre l’ottantunenne conte Olivieri. che ripete: «Io non devo pensare a niente. L’unica cosa che mi domanda è di accompagnarlo sono trattato come un principe».
A Villa Italia i pochi domestici lavorano con larghissima autonomia sotto un padrone di casa che non dà mai ordini. Il governo della casa va avanti da sé: non c’è mai stato un maggiordomo non se ne sente la necessità. Il cuoco non riceve disposizioni per i pasti. Prepara tutto di testa sua e Umberto mangia quello che gli presentano, senza fare osservazioni che non siano complimenti. E un segno della stia attuale buona salute è anche la sua indifferenza al cibi più diversi: mangia di tutto.
C’è nell’ex-re una cura puntigliosa nell’evitare di farsi servire e nel bastare a se stesso. Neppure per l’apertura delle lettere, che arrivano a Villa Italia a centinaia, vuole scomodare un segretario. E bada con attenzione anche all’andamento amministrativo della sua vita in Portogallo. Non fa rilievi sulle spese e quando una fattura ritarda la la sollecitare
La sua preoccupazione fondamentale è di essere cortese e paziente con tutti, anche con gli sconosciuti che piombano inaspettatamente a Cascais e hanno qualcosa da chiedergli. Un giorno si è alzato tre volte da tavola senza un gesto di fastidio, durante la colazione, per ricevere tre visitatori italiani che semplicemente soddisfare la curiosità di vederlo, per poter poi raccontare la cosa al ritorno in Italia. L’altra sua preoccupazione durante questi i incontri è di dissipare l’atmosfera di malinconia che spesso si crea. Vorrebbe portare le cose sul piano della visita cordiale e serena, sgombra da riferimenti accorati alle cose del passato.
E nello stesso tempo parlando dell’Italia è inevitabile che in qualche modo il passato ritorni a risvegliare l’amarezza che da vent’anni egli cerca di nascondere.
«Quando, un visitatore se ne va», egli dice, «io penso che tra un’ora prenderà l’aereo e tornerà in Italia. Io questo non lo posso fare… Non pretendo che mi si compianga perché sono in esilio, e che si diffondano ritratti patetici della mia vita. Vorrei solo che si capisse che l’esilio per me è solo questo: è desiderare di rivedere l’Italia, soltanto rivederla, e dovervi invece rinunciare. Questa gioia la possono avere tutti, ma io da vent’anni non l’ho più. »