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Arrivo a Lisbona

Quando giunsi all’aeroporto di Lisbona il pensiero di poter rivedere presto S. M. Umberto II provocò in me una grande emozione. Avrei voluto recarmi direttamente alla sua dimora, ma l’ora in cui era giunto l’aereo, le necessarie operazioni doganali e le lungaggini burocratiche che sempre deliziano i cittadini che, per guadagnar tempo, usano il più rapido mezzo di trasporto, me lo impedirono.

Fu cosi che giunsi a Lisbona che già calava la sera. Non mi rimase che cercare l’alloggio e chiamare per telefono il generale Cassiani, l’aiutante di campo che ha seguito il Re nel suo esilio, per avvertirlo del mio arrivo.

Sua Maestà mi aspettava l’indomani alle 10 nella sua dimora di Pietade a Quinta de Bela Vista a pochi chilometri da Cintra.

Lisbona, la città lusitana che si stende sull’Atlantico in una molleggiante e noncurante indifferenza, animata da un ininterrotto traffico di automobili e di cittadini, ha l’aspetto di un grande paesotto provinciale.

Benché sparsa variamente dalla pianura alla montagna, con salite e arrampicate veramente notevoli tanto da costringere a serie manovre gli automezzi che devono accingersi a superarle, sembra tuttavia raccolta intorno alla sua grande « Avenida de la libertad » che è l’arteria principale del traffico.

Ma più di ogni altra cosa, ciò che meraviglia o per meglio dire che colpisce di più in quel centro cosmopolita, sono le vetrine degli agenti di cambio, nelle quali si vedono con la più grande semplicità e senza alcuna pretesa di particolari attenzioni, abbondanti mostre di monete d’oro di ogni taglia e di ogni paese, sfolgoranti biglietti nuovi di tutte le valute e di tutti i valori, cosi come nei negozi vicini si possono ammirare in un elegante disordine scatole di cibi di ogni genere di tutti i paesi del mondo.

Lisbona è un centro dove ogni commercio è libero, dalla valuta ai generi più insignificanti, e l’oro si può comprare in un negozio con la stessa semplicità di come si può comprare un etto di burro o un etto di cacao.

Ma all’infuori di questo particolare aspetto, così differente da quello del nostro paese e di quello spagnolo, che pure è tanto vicino e dove tutta questa libertà commerciale non si sogna neppure, non vi è altro di eccezionalmente notevole.

Da Lisbona a Cintra

Ho lasciato Lisbona in macchina per recarmi a Cintra: il mio animo è preso dall’ansia e dal desiderio di rivedere presto S. M. Umberto II.

La strada da percorrere è di circa una quarantina di chilometri. Da un paesaggio che ricorda l’Africa, appena fuori le mura della città, per la sua monotonia grigiastra, sono passato in una distesa verde e fiorita alle falde della Sierra del Monserrato. La strada si scioglie dapprima in piano, fra bianchi muraglioni, poi iniziando l’ascesa della Sierra di tourniquet in tourniquet sale sulla montagna coperta di fitta vegetazione, fra rupi di natura alpestre. Si erge in cima ad un cucuzzolo a picco con i suoi muraglioni e con le sue torri il castello dei Pana, che sembra un nido di avvoltoi, e ricorda le fantasiose illustrazioni del Doré. Quando comincia con forte pendio la discesa, all’improvviso, oltre il verde cupo della vegetazione, appare in distanza l’Atlantico grigiastro, sconfinato. La strada si stende ancora tra due alti muraglioni che sembrano blocchi di granito, sormontati da alberi e da arbusti. La rudezza dei muraglioni cadenti a picco sulla strada, le mura dei castelli vicini e lontani, danno al visitatore l’impressione di percorrere una zona medioevale.

Quasi spinta in avanti dalla selva retrostante appare Cintra, nella semplicità di ogni semplice paesotto. Cintra, residenza estiva dei re del Portogallo quando c’erano, è una città giardino animata dai villeggianti e da un «casino» che in vero non può competere ormai con quello sorto in Estoril, il centro di villeggiatura più elegante del Portogallo, sulla ampia spiaggia distesa in cospetto dell’Atlantico.

Cintra, che non è invece sul mare, ma a mezza montagna, e un complesso di ville allegre abbondanti di fiori e contornata da vecchi palazzi, caratteristicamente decorati con mattonelle colorate, i cosiddetti «azulejos».

A Cintra sorgono ricordi storici importanti: il palazzo della piazza, il Mausoleo del Monserrato, il convento dei capucchos, il palazzo reale, tutte costruzioni che ricordano le antiche grandezze e permettono rivivere quei tempi in una cornice di folkloristica attualità.

Da Cintra a Bela Vista

Per arrivare da Cintra alla Villa Bela Vista, dove sono ospitati i Reali in esilio, c’è ancora da percorrere alcuni chilometri, attraverso un pendio boscoso della Sierra per strade sinuose e pittoresche, che per molti tratti si svolgono sotto tunnel di vegetazioni fittissime. Madonnine artistiche si prospettano nelle curve ripidissime, fontanelle rustiche, angoli architettonici che sembrano inquadrature cinematografiche di un geniale regista.

Ad un tratto un bivio. Proseguo per la strada in discesa, sicuro di giungere alla villa degli ospiti regali, ma, alla domanda rivolta ai proprietari della villa mi viene risposto che devo tornare indietro al bivio ed entrare nel portale che è sulla sinistra. Macchina indietro riprendo la strada abbandonata ed arrivo al portale.

Un viale su terreno duro, battuto tra scogliere di iris viola e paonazzi, sbocca su un grande piazzale. In fondo si eleva una costruzione in pietra grigia, che sembra una antica cappella. A sinistra del piazzale è l’edificio della villa. A destra un muraglione che affaccia sul bosco nella vallata.

Una doppia scala con balaustre in ferro porta alla terrazza da cui si accede nella villa.

L’edificio è in pietra grigia, un po’ monotona, triste direi, ravvivata da pannelli di maioliche, gli azulejos in tinta azzurra che ricordano nel colore e nei disegni i piatti di Benciwood.

Il generale Cassiani è ai piedi della scalinata ad attendermi gentilmente.

Prima di essere ammesso alla presenza di Umberto chiedo al generale Cassiani notizie sulla vita del grande esule.

E’ il generale Cassiani una figura di soldato gentiluomo, checché ne dica il pennivendolo della «Voce Repubblicana» che con l’articolo « Il disertore Cassiani promosso» ha tentato di denigrare la figura di questo valoroso decorato dell’Ordine Militare di Savoia e di molte medaglie al valore. Il foglio repubblicano, sbizzarrendosi in sciocchezze ed invenzioni, ha finto di ignorare che Cassiani, da autentico soldato che ha partecipato a tutte le guerre, prima di seguire il suo Re nell’esilio, inviò le proprie dimissioni in carta da bollo alle autorità competenti rinunciando così ad una brillante carriera che aveva abbracciata e servita come missione.

La vita di Umberto

Cassiani mi dice che grande è stata ed è tuttora la sofferenza del sovrano per il distacco dalla sua patria lontana. Lo si vede spesso fortemente pensoso, quasi prigione di un pensiero dominante. E quel pensiero ha un solo volto e un solo nome: l’Italia. Questa Italia che la sua indipendenza e la sua unità deve in grandissima parte proprio e solo ai Savoia, si che impossibile sembra che i Savoia siano oggi divisi dall’Italia.

Sembra e forse è impossibile, poiché la divisione materiale ch’è paragonabile ad una improvvisa e provvisoria mutilazione non spezza e non può annullare quel legame spirituale che unisce la storia dei Savoia alla storia d’Italia.

Le imprese dei quattro massimi Amedei, quelle di Emanuele Filiberto, di Tommaso I, di Vittorio Amedeo II, del III e V Carlo Emanuele, del Primo Re d’Italia, che dal Vittoriano quale Padre della Patria, veglia sul paese diviso, rovinato, sanguinante, e infine di Vittorio Emanuele III che pur sconfitto attende dalla storia lo appellativo di grande; queste imprese sono lì a testimoniare che la vita dei Savoia fu sempre spesa al servizio della Patria, e che senza il loro decisivo e fattivo intervento, senza i loro ministri e il loro esercito regolare, noi non avremmo avuto col nostro Risorgimento l’indipendenza, l’unità e la libertà.

Mi dice Cassiani che il Re, come sempre, si leva presto al mattino e lavora molto. Egli, che già conosce molte lingue, ora sta studiando metodicamente anche il portoghese.

Spesso per semplici commissioni va a Lisbona dove, più volte, camminando a piedi, è fatto segno a vive ovazioni dalla folla che lo ha riconosciuto.

Umberto è un ottimo marciatore e di frequente, da solo, fa delle marce di tre o quattro ore percorrendo oltre sette chilometri all’ora.

Sembra che in questo periodo tali marce siano quasi necessarie non solo al suo fisico ma anche al suo pensiero, al suo spirito, poiché più facile gli riesce la concentrazione, più facile il poter pensare a ciò che sopra tutto domina il suo pensiero e il suo cuore: l’Italia e gli Italiani.

Con i suoi intimi egli spesso rievoca la tragica storia d’Italia degli ultimi anni, e specie il breve periodo della sua Luogotenenza e quello ancor più breve, del suo Regno. Di volta in volta egli mette in rapporto le cause con gli effetti, il suo comportamento di Sovrano di fronte al suo popolo e agli interessi supremi del paese, e da questo esame obiettivo Egli esce sempre più rafforzato nella coscienza e nel convincimento di essere stato il servo fedelissimo del suo popolo.

Degli ultimi eventi Egli ha la ferma convinzione che nel Referendum del 2 giugno la maggioranza degli Italiani si e espressa a favore della Monarchia e che, forse, un monarca avesse il diritto e il dovere di difendere l’Italia e la volontà popolare restando ancora al proprio posto di fronte al colpo di stato consumato dal governo. Ma quali effetti immediati e quali sviluppi tragici avrebbe avuto un simile atto da parte del Re? E’ chiaro ed evidente: la guerra civile, cioè lo spargimento di nuovo sangue italiano e la tremenda divisione dei suoi figli in due campi avversi in un momento in cui il paese aveva bisogno di concordia e di pacificazione. E poteva un Re di fronte alla propria coscienza, al suo popolo e alla storia assumersi una sì grave responsabilità, in un momento in cui questa guerra civile, forse, avrebbe visto schierare sulla nostra terra, già percorsa di recente dalla furia bellica straniera, le forze di quei due imperialismi che già oggi, pur sedendo allo stesso tavolo della pace, sono l’un contro l’altro armati?

La storia, questa grande giustiziera della politica e delle azioni umane, dirà domani che Umberto II al pari di Vittorio Emanuele III ben meritarono dalla Patria.

La casa

La casa nella quale la famiglia reale oggi vive è priva d’ogni sfarzo. Essa è costituita di un piano terreno e di un primo piano, la cui parte sinistra è dedicata alla Regina e ai Principi.

Un grande giardino cui si accede dall’interno della villa, recinto di barriere di mortella dona alla costruzione non bellissima, una decorosa cornice. Da un grande arco settecentesco in muratura, in parte rivestito di folti ciuffi di edera rampicante, una antica scalinata sale rampante verso la retrostante collina. Dalla terrazza di accesso si entra nella casa e si passa in un’ampia anticamera che serve da sala di soggiorno, sala d’aspetto e di smistamento del palazzo. A destra una porta mette, attraverso un’altra camera di passaggio, nella sala da pranzo; a sinistra invece si accede alle camere della Regina. Al centro un grande tavolo in pietra sorretto da otto colonnine dorate, costituisce uno dei pezzi più importanti della villa. Sul piano del tavolo vi è un gran vaso ed un calamaio d’argento. Nella parete di fondo fra due porte un divano stile settecento, due cantoniere agli angoli: decorazioni assai semplici: qualche quadro alle pareti.

Dal fondo si accede al salotto: sobrio, severo, tappezzato in vecchio damasco rosso, in stile rinascimento.

Spiccano sul rosso damascato ritratti del ‘500 dal fondo scuro di dame e di cardinali. Contro la parete centrale v’è un divano in velluto verde, e vicino una grande sedia in istile, un piccolo tavolo con sopra dei libri e un lume. Presso l’altra parete un altro tavolo più grande sorreggente una grande ortensia.

Dal centro del soffitto pende un candelabro in bronzo a steariche. Di fronte al divano sta una consolle dorata con due candelabri. in questo salotto riceve abitualmente Umberto II.

La sala da pranzo è semplicissima: un tavolo ovale al centro e due consolle stile impero.

Questa residenza presso Cintra, a «Quinta de Bela Vista» è Provvisoria. Quanto prima la famiglia Reale si porterà in una villa a Estoril situata su l’Atlantico a circa quindici chilometri da Lisbona. A Estoril già si trova la famiglia dei Duchi di Genova.

Protesa sul mare, Estoril, che nell’estate è meta dei bagnanti portoghesi per la sua posizione incantevole, già ospita l’erede al trono di Spagna, Don juan di Borbone.