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Interviste 46-64

Intervista di Benedetto Mosca, Oggi, 1964

By Novembre 14, 2018Novembre 12th, 2021No Comments

Cannes (Francia), dicembre

La settimana scorsa, prendendo congedo dai lettori al termine del resoconto della visita di Umberto di Savoia a Montpellier per il dodicesimo anniversario della scomparsa della madre, promettemmo nuove rivelazioni sulla vita in esilio di colei che ormai sono in molti a chiamare la «regina santa» . In particolare, annunciammo i ricordi della sua dama di compagnia. donna Rosa Galletti, che in un momento di particolare commozione ci ha aperto – è veramente il caso di dire – il suo cuore.

Terremo fede, è naturale, all’impegno preso; ma prima che a donna Gallotti è nostro privilegio dare la parola a un’altra persona: a Umberto stesso, che abbiamo seguito da Montpellier a Cannes, dove ha trascorso qualche giorno di riposo, e che nella quiete di questa città ci ha affidato alcuni preziosi ricordi personali.

Quasi tutti gli anni Umberto compie un breve soggiorno a Cannes. Molti sono i ricordi che legano i Savoia alla Costa Azzurra, e l’Italia è così vicina. Dalla finestra del suo albergo, il sovrano trascorre lunghe ore guardando il mare. L’aria, di questa stagione, è tersa; dietro la grande lingua di terra che, sulla sinistra, chiude l’orizzonte, c’è Nizza, e subito dopo si entra nel paese che da diciotto anni è proibito a Umberto di Savoia. «Cannes è l’avamposto», disse una volta il sovrano, «della mia malinconia di Re in esilio».

 

intervista a benedetto mosca reumberto

intervista a benedetto mosca reumberto

Quando è qui, e viene la domenica, Umberto si reca ad ascoltare la Messa nella chiesa di Notre Dame de Bon Voyage. Ricordiamo di averlo visto, in anni ormai lontani, pregare devotamente in quel tempio, attorniato dalla sua famiglia. C’erano Maria José con i quattro figli, e c’era la regina Elena, da poco tornata — sola — dall’esilio In terra d’Egitto. Umberto era accanto alla madre, il capo un poco reclinato su di lei; Elena. già minata dal male, rabbrividiva nei neri abiti del lutto. Quando uscirono nel sole del sagrato, la regina parve rinfrancarsi. Guardò il figlio, la nuora, i nipoti. Disse: «Mi dispiace soltanto di non aver le braccia come l’animo. Se così fosse, ora vi potrei stringere tutti insieme ».

 

 

“LA MAMMA È STANCA”

 

A Cannes, Elena si soffermò per qualche tempo a villa Araucaria. Quindi si trasferì a Cap d’Antibes, dove erano vissuti e morti, anch’essi in esilio, i suoi genitori Nicola e Milena. Proseguì poi per il Castello di Crow, ma nemmeno qui le riuscì di trovare un poco di sollievo per le sofferenze del corpo e per quelle anche più cocenti dello spirito.

«Voglio tornare in Egitto , Elena ripeteva accorata, « voglio morire dove è morto il mio re. I miei ricordi sono laggiù: carte, fotografie, quadri; che cosa ci sto a fare, qui?». Dovette rassegnarsi, invece, a rimanere in Europa. Il professor Lamarque, l’insigne medico curante, la convinse a seguirlo a Montpellier, dove abitava e dove avrebbe potuto assisterla più efficacemente. Fu così che Elena, dopo un breve soggiorno In un albergo della città francese, si stabilì al Mas de Rouel: la bella villa che il professor Lamarque fu felice di cederle per l’affitto simbolico di un franco all’anno.

A Montpellier cominciò per Elena di Savoia una nuova, se pur breve, esistenza. Prima l’arredamento del Mas de Rouel, che comprendeva quindici stanze e nel quale la sovrana si riprometteva di ricevere spesso la visita dei nipoti, poi e soprattutto le opere assistenziali ridiedero a Elena il gusto della vita.

Le bimbe ospiti del locale orfanotrofio, diretto dalle suore Mercedarie della casa madre di Sassari, divennero altrettante figlie per la regina. Una di esse, la più piccolina, non appena la vedeva comparire le correva incontro e a tutti 1 costi voleva essere presa in braccio. Elena si chinava su di lei, ma non riusciva a sollevarla: «La mamma» si scusava sorridendo, «oggi si sente un po’ stanca». E non solo nell’orfanotrofio qualcuno tendeva le braccia alla vecchia regina: come abbiamo ricordato la settimana scorsa, a Montpellier non  c’era povero che, almeno una volta, non avesse ricevuto aiuto da Elena di Savoia.

È in questa cornice che vanno inquadrati i ricordi di Umberto, che siamo lieti di offrire ai nostri lettori. A Montpellier era già arrivato l’autunno. Una domenica, vedendo che splendeva un bel sole, la regina Elena chiese a Umberto di accompagnarla in una chiesa della città. Soli, madre e figlio raggiunsero il tempio. Umberto indossava un soprabito leggero, com’è sua abitudine anche nel pieno dell’inverno; la regina era vestita di nero, come sempre, le attorno alle spalle aveva una stola di volpi grigie. Si appoggia, va al braccio del figlio; di tanto in tanto gli prendeva una mano.

«Quando la Messa finì». ci ha raccontato Umberto, «mia Madre ed io ci avviammo all’uscita della chiesa. Lasciammo prima sfollare gli altri fedeli, giacché noi camminavamo adagio. E stavo aiutando mia Madre a scendere i gradini del tempio, quando vidi un uomo venirci incontro.

«Era un vecchio mendicante, assai male in arnese. Mentre ci tendeva la mano io cercai, sempre sostenendo mia Madre, un po’ di danaro. Lì per lì. nell’unica tasca in cui mi riuscì di ficcare la mano, non ne trovai. Quasi non mi accorsi che mia Madre, più svelta di me. aveva già aperto la borsetta e consegnato al povero un biglietto di banca.

«Fino a questo punto, niente di straordinario. Subito poi, tuttavia. vidi che mia Madre, porgendo l’elemosina, aveva stretto con la sua la mano del mendicante. E che faticosamente si chinava, per baciargliela. L’uomo arrossì e rimase come impietrito: sapeva, per averla veduta altre volte, chi era l’anziana signora che con tanta umiltà, ora. Gli sorrideva, quasi a chiedergli perdono dell’imbarazzo in cui lo aveva messo.

 

UN DELICATO OMAGGIO

 

«Non ci fu spiegazione, tra me e mia Madre. Riprendemmo il cammino come se niente fosse accaduto; e di tanto in tanto qualcuno ci salutava, il sole splendeva alto, era veramente una mattina incantata.

« In seguito vidi altre volte mia Madre rendere omaggio a un povero. Con semplicità, senza ostentazione, e mai che al gesto seguisse una parola di commento. La regina Elena era fatta così: ogni povero rappresentava ai suoi occhi il mistero di Gesù, il mistero del dolore e della sofferenza umana».

Umberto di Savoia ha sempre avuto un’autentica venerazione per sua madre. Per lunghi anni ella ha incarnato, nel suo giudizio, la donna ideale. La donna devota al marito e sollecita, in pari misura, dei figli; la donna capace di tenere unita attorno a sé una famiglia non soltanto nei giorni della buona sorte.

 

 

Ricordando l’affetto che legava la regina Elena a Vittorio Emanuele III, così una volta raccontò Umberto: «D’estate, a San Rossore, mio Padre usciva tutte le mattine alle sei per una passeggiata di un’ora, di ritorno dalla quale entrava nell’appartamento della regina. Mia Madre, non meno metodica, era invariabilmente al tavolino. Intenta a scrivere delle lettere. Il Re le si appressava in punta di piedi e le poneva per un attimo la mano sulla spalla. come per dire: “Sono tornato, sono qui vicino a te”. Ma non pronunciava una parola, né una parola pronunciava la regina che, rimanendo, almeno apparentemente. intenta alla scrittura, non si volgeva se non con il pensiero a ricambiare l’affettuoso gesto del Re.

«Era solo un attimo. Poi il Re, sempre in punta di piedi, usciva, non senza avere deposto in qualche luogo o il fiore, o il ramoscello, o persino nient’altro che la foglia o il sassolino raccolti durante la passeggiata. La regina doveva fingere di non vedere; ma, uscito mio Padre, prendeva quel ramoscello, quel sassolino, quel flore, e andava ad aggiungerlo ai mille di cui aveva colma una scatola d’avorio.

«Era difficile che la regina e il sovrano si parlassero, reputando qualsiasi parola si fossero detti insufficiente ad esprimere il profondo, sublime amore che li univa. Avevano superato, nei loro rapporti sentimentali, ogni manifestazione esteriore. Bastava loro uno sguardo per intendersi: attraverso gli occhi si leggevano nell’anima. Si amavano come credo che pochi al mondo si siano mai potuti amare».

 

LA SCATOLA DEI RICORDI

 

La scatola d’avorio dei ricordi, di cui Umberto ci ha parlato, Elena la conservò anche dopo la morte di Vittorio Emanuele III.

La portò con sé in Europa, quando tornò dall’Egitto a bordo della nave francese Providence, e fino all’ultimo, ogni mattina, ne sollevò il coperchio per gettarvi dentro uno sguardo. I fiori e le foglie, passando gli anni, erano diventati polvere; di tutta una lunga vita, alla regina che aveva distribuito ai poveri ogni avere, erano rimasti pochi sassolini.

Una scatola piena di polvere. Anche nei ricordi di donna Rosa Gallotti, la fedele dama di compagnia della regina Elena, questa scatola ha un posto di riguardo.

Solo che è piena di fiori giacché per trent’anni Rosa Gallotti fu discreta testimone «quotidiano omaggio di Vittorio Emanuele III alla sua regina. «Ricordo come fosse ieri», dice donna Gallotti, «quando il Re si recava, dopo la passeggiata, gli appartamenti della consorte.

C’era, ad Alessandria d’Egitto, salire una breve rampa di scale. Il re aveva, ben nascosto nel pugno, un mazzolino di fiori di campo. Io lo sapevo, lui sapeva che io sapevo. A volte, mentre saliva le scale, m’incontrava, e io mi facevo da parte. Vittorio Emanule III, allora, si arrestava». Invariabilmente, mi diceva in dialetto piemontese:   “Ca passa, madama”. Io, lesta, passavo. Di lì a pochi istanti, quando il re usciva dalle stanze della regina   Elena gli si poteva leggere in volto una felicità quasi fanciullesca: senza farsi vedere, aveva deposto da qualche parte i suoi fiori».

Scegliamo ora a caso di ricordi di donna Gallotti. Riportiamo tre piccoli episodi, quasi tre favole brevi, che nella loro semplicità aiutano  d’ogni discorso a capire perché a Montpellier  a dodici anni dalla scomparsa, Elena di Savoia è così viva nel ricordo della gente. La «Regina santa », la chiamano, e c’è chi sta considerando seriamente la possibilità di introdurre la causa per la sua beatificazione.

«Passavamo, la mia Regina ed io, per le strade del centro di Montpellier. Si era sotto una festa, non ricordo più quale, e le vetrine scintillavano, piene delle mercanzie più diverse. A un tratto. la regina mi indicò una donna di mezza età, dimessamente vestita e tuttavia non priva di una sua dignità. La donna stava, immobile, davanti a una vetrina. Guardava con malinconia oggetti che non avrebbe mai potuto comperare.

«La regina le si avvicinò. “Cerca qualcosa, signora?”, le domandò. “No”, quella rispose facendosi di fuoco, “non ho bisogno di niente”. Le regina tacque per qualche istante. Poi disse: “Sia gentile, mi dia il suo indirizzo”.

La donna, confusa, dopo qualche esitazione accolse la richiesta. La mattina seguente, senza aggiungere parola a quelle che aveva  detto e proibendomi di rivelare chi fosse, la mia regina spedì ogni ben di Dio a casa di quella povera donna».

 

TRA I PICCOLI AMMALATI

 

Il secondo episodio rievocato da donna Gallotti ha per sfondo la periferia di Alessandria d’Egitto. Di buon mattino, la regina Elena compiva una passeggiata con la fedele Rosa. Si trovò a passare, a un certo punto, davanti a un ambulatorio. Si arrestò, colpitala dal gran numero dei poveri, quasi tutti vistosamente ammalati. che aspettavano in fila il loro turno.

«La mia regina». ricorda donna Gallotti, « notò che tra quegli infelici erano numerosi i bambini. “Abbiamo qualcosa da dure a quel piccoli. Rosa?”, mi domandò. Risposi di no, che avevamo soltanto una piccola somma di danaro. Distribuendola, delle due una: o scontentar tutti, giacché il dono fatto a ciascuno dei bimbi sarebbe stato insigniflcante, o prendere a cuore la sorte di pochi ignorando gli altri.

«La mia regina si guardò attorno, perplessa. Scorse un venditore di frutta caramellata. Sorrise, come se l’idea che le si presentava alla mente la riempisse di gioia, e mi disse: “Corri, Rosa, di’ a quell’uomo di darti tutta la frutta che ha”. Le feci notare che saremmo rimaste completamente sprovviste di denaro. Non mi ascoltò nemmeno. Prese ella stessa il cestino della frutta caramellata e felice, la distribuì ai bambini che le si accalcavano intorno tendendole le esili braccia».

Il terzo ricordo di donna Gallotti non riguarda un episodio preciso. Rivela, piuttosto, una situazione che negli ultimi tempi dell’esilio di Elena a Montpellier si ripeté con frequenza. E che se non fosse donna Rosa a rievocarla, difficilmente risulterebbe credibile.

 

«Spesso, la mattina, vedevo Elena di Savoia comparire con un abito messo insieme alla meglio, talvolta addirittura con una o due spille in vista. La mia regina aveva dato tutto ai poveri, ormai era povera ella stessa: tuttavia vederla in quello stato mi rattristava profondamente. Dicevo; “Maestà, non si può… Quest’abito non è degno di una regina”.

«Elena di Savoia mi guardava sorridendo. “C’è gente”, mi rispondeva, “che non ha nemmeno un vestito come questo. E lo non posso perdere tempo a cercarne un altro; ho fatto cosi poco… Sono stanca, Rosa, ma ho fretta. Pensa a tutta la gente che, quando sarò sotto terra. Invocherà il mio nome e io non potrò aiutarla… ».

 

Benedetto Mosca, Oggi, 17 Dicembre 1964