Umberto di Savoia a Villa Italia guarda con grande coraggio il futuro
Non voglio che si parli della mia malattia anche se è stata una dura esperienza – ha detto Umberto. Il Re ha ripreso in pieno le sue occupazioni, destando ansietà in chi gli vive accanto; si teme che il dispendio di energie comprometta il suo organismo, provato dal grave male
Alle sue spalle, sopra il divano, c’è un grande ritratto di Carlo Alberto. Altri ritratti di Vittorio Emanuele III, di Umberto bambino e della Regina Maria Pia, una principessa di Casa Savoia che regnò sul Portogallo, ornano tutt’intorno le chiare pareti. Siamo al pianterreno di Villa Italia, nel «salotto giallo» dove il sovrano in esilio riceve di solito i visitatori: la stanza si affaccia sulla veranda coperta di fitti rampicanti, edera, gelsomino, vite selvatica, ma il riverbero del sole sull’Atlantico riesce a penetrare fin qui, luminoso. Ci si arriva attraversando una vasta sala d’attesa, arredata con mobili stile Luigi XVI: un tavolo interamente nascosto da traboccanti fasci di lettere e di telegrammi, una libreria, due vasi di Sevrès, molti cimeli (fra cui lo stendardo del Genova Cavalleria, il reggimento che partecipò all’ultima eroica carica della campagna di Russia) e molte fotografie. Sul caminetto, un ritratto di Maria José.
“Voglio salutarvi”
Nel silenzio che ci accoglie si sente vibrare, a tratti, il rombo d’un motore. Cascais compie, in questi giorni, seicento anni, e nella serie dei festeggiamenti è compresa anche una corsa automobilistica, che passa proprio davanti a Villa Italia. L’eco delle «nozze di Cintra» si è spenta. Claudia e Amedeo, gli sposi dell’anno, sono ormai ad Atene da dove proseguiranno, sullo yacht di Federica di Grecia, zia materna del duca Amedeo, il loro viaggio di nozze, nelle isole dell’Egeo. Maria José e Vittorio Emanuele hanno lasciato Cascais per Ginevra, Maria Pia ha raggiunto Roma in aereo ed è ospite, attualmente, della cugina Maria Cristina d’Aosta, nella sua villa di Fiesole. Partiti i fotografi, partiti i giornalisti, Cascais ha ripreso il suo aspetto di tranquilla località balneare che, fra le altre attrattive, offre ai turisti anche una gita alla «Fin do mundo », dove, di fronte agli scogli della «Boca do inferno », sorge la villa «do rey d’Italia»
Tutto è come una volta, a Cascais, come tre mesi fa, quando il sovrano in esilio fu ricoverato d’urgenza in una clinica, a Londra. I villeggianti si additano di nuovo le finestre del suo studio, al primo piano, che hanno un’altra volta le imposte spalancate da quando Umberto è tornato, e la sua macchina nera, che l’attende davanti all’ingresso. C’è sempre Trigatti, il fedele staffiere veneto, granatiere di Sardegna, che ha seguito il suo re nell’esilio, a far strada ai visitatori, a guidarli, nella penombra del vestibolo, verso l’album delle firme e poi, a sinistra, verso la lapide in peperino su cui, appena visibili sul fondo scuro, si leggono le parole dettate dal ministro di Umberto II, Falcone Lucifero:
Questa dimora, – che il nome sacro della patria – ripete in terra d’esilio – italiani memori vollero – per il loro re – in attesa del giusto ritorno ».
Anche lui, «o Rey de Italia», desidera che nel suo entourage ci si comporti come se nulla fosse mutato , come se la grave malattia di cui tutto il mondo ha parlato fosse già stata dimenticata, o, meglio, non fosse mai avvenuta.
«Non ho niente da dichiarare», ha fatto cortesemente sapere il sovrano a tutti i giornalisti che desideravano intervistarlo, dopo le nozze di Claudia e di Amedeo. Ma poi ha acconsentito a ricevere i rappresentanti di due giornali italiani (il nostro e il più diffuso quotidiano di Roma ), «Soltanto», ha precisato «per salutarvi, per stringervi la mano».
Ci avevano avvertito che è poco protocollare, poco discreto chiedere ad un re notizie della sua malattia, ma protocollo e discrezione non hanno mai fatto lega col giornalismo, come si sa, perciò la prima domanda che rivolgiamo a Umberto di Savoia, non appena seduti davanti a lui e al ritratto di Carlo Alberto, nel «salotto giallo», è appunto quella che ci era stata proibita. Umberto risponde con un sorriso. «Sto molto meglio», ci dice, «è stata una dura esperienza, soprattutto per me, che non ero mai stato malato (fino a pochi mesi fa avevo sofferto, tutt’al più, di qualche raffreddore), ma ne sono uscito, grazie al cielo, e ho già ripreso la mia attività quotidiana, i miei studi, le mie occupazioni. Sono ben curato e riprendo giorno per giorno le forze».
In realtà, l’illustre infermo non dimostra nessuna intenzione di considerarsi, e nemmeno di essere considerato, convalescente. Se non fosse per la presenza a Villa Italia di un’infermiera della London Cliníc, che ha lasciato Londra con lui, e per la costante assistenza del suo medico personale, il professor Oliveira, di Lisbona, si potrebbe pensare che il sovrano si sia lasciato definitivamente alle spalle la dolorosa infermità da cui è stato colpito.
Non ha certo risparmiato le forze, durante le nozze di Claudia di Francia e del nipote Amedeo: non ha voluto rinunciare al ricevimento a Villa Italia (che fino al suo arrivo, non si sapeva se avrebbe avuto luogo), e per quasi tre ore ha accolto, in piedi, l’omaggio degli invitati e delle delegazioni monarchiche. Si è trattenuto fino alle due di notte al pranzo (seguito da un ballo per intimi) offerto in onore degli sposi dal conte di Parigi, nella sua «quinta». Ha seguito a Sintra il corteo nuziale ed ha preso parte all’intera cerimonia, nella chiesa di San Pedro, fra gli sguardi ansiosi di Maria Pia, che non l’abbandonava un momento con gli occhi. Ha fatto poi atto di presenza al garden-party seguito al matrimonio (si era perfino diffusa la voce, subito smentita, che il re si fosse sentito male) e la sera stessa, come se non bastasse, è intervenuto a un pranzo di famiglia all’Hotel Ritz di Lisbona, l’albergo dove Claudia e Amedeo hanno trascorso la loro prima notte di sposi.
Ha fatto, insomma, tutto ciò che di solito non è permesso, a un convalescente, né ha modificato il suo atteggiamento, nei giorni seguenti. I suoi fedeli, non lo nascondono, sono un po’ preoccupati, vorrebbero che il «sire» avesse maggior riguardo per 1a propria persona, che riposasse di più. Ma chi oserebbe, sospirano, dare . consigli a un re, sia pure per il suo bene, ostacolare i suoi desideri?
Un re, indubbiamente, è un paziente difficile. Lo guardo, adesso, mentre ripete vivacemente, con entusiasmo: «Sto meglio, sto meglio, ho tante cose da fare, tanti progetti», e alza appena la voce perché non rimanga il minimo dubbio. Sembra ringiovanito; la sua somiglianza con Maria Pia, che è sempre stata evidente, si è ora accentuata: gli stessi occhi, la stessa espressione, identici i gesti e il portamento. Ma a chi, come me, non l’aveva visto da tempo (da due anni, dal matrimonio del principe Tinti Borghese con Fabrizia Citterio, a Montecarlo) il suo volto appare scavato, con le inconfondibili impronte che le malattie e la sofferenza fisica lasciano dietro di sé. E’, dimagrito, assicurano, otto chili, ma si direbbe di più, dalle mani affilate, dai vestiti troppo abbondanti sulla elegante figura. Ha già cominciato, però, a riprendere peso, soprattutto ha ripreso a mangiare.
«Molti italiani», continua ora Umberto II, indicando con un lieve cenno del capo al di là della porta aperta, il tavolo carico di corrispondenza, nella stanza vicina, «mi hanno scritto per farmi gli auguri, durante la mia malattia. Risponderò a ciascuno di loro personalmente, ma sono tanti, di ogni ceto sociale: mi ci vorrà del tempo. Per il momento desidero che sappiano tutti, attraverso i vostri giornali, come mi abbia commosso la loro prova di affetto, come mi sia stata di conforto, di aiuto». Per un attimo la sua voce s’incrina, ma subito tace, per non lasciarsi vincere dall’emozione.
Una casa troppo grande
Prima che i medici permettessero all’ex-re d’Italia di lasciare la clinica di Londra (dove ha trascorso sempre la notte, anche negli ultimi tempi, fino a quando, il 18 luglio, è partito per Lisbona), si era scritto che Umberto avrebbe scelto per la sua convalescenza la regione che ha dato i natali e il cognome ai suoi avi: la Savoia. In realtà, gli era stato suggerito di recarsi per qualche tempo in montagna, ma il sovrano come ogni malato del mondo, era impaziente di essere il più presto possibile a casa. E la sua casa, da diciotto anni ormai, si trova a Cascais.
Sulla «Costa do sol » la temperatura è volubile, gli sbalzi dal caldo al freddo sono frequenti e l’aria (umida e fresca anche d’estate, per le correnti dell’Atlantico) non giova al sistema nervoso, perché contiene una dose troppo forte di radioattività. Ma «o Rey d’Italia » si è sempre trovato a suo agio, in questo clima. Non si muoverà da Cascais se non, forse, per recarsi ad Atene, alle nozze di re Costantino. «Ma prima», dice, «festeggerò qui i miei sessant’anni, il 15 settembre», e, come ad ogni suo compleanno, qualcuno dei figli verrà a raggiungerlo.
Contrariamente a quanto si è detto, nemmeno ora Maria José lascerà la sua residenza a Merlinge per trasferirsi a Cascais, in questa villa discreta fra i pini e gli scogli «che il nome sacro dell’Italia – ripete in terra d’esilio»: inutilmente ampia, inutilmente capace di ospitare un’intera famiglia.
Non si tratta più dei suoi occhi, ormai in grado, se non difesi da occhiali da sole, di difendersi anche dalla luce abbagliante del Portogallo. Si tratta del clima, che 1’ex-regina non può sopportare (la rende inquieta e non la lascia dormire) e non soltanto del clima. Maria José, mi spiegano qui, ha trovato a Ginevra l’ambiente ideale per i suoi interessi intellettuali, il terreno più adatto per i suoi incontri con alte personalîtà dell’arte e della cultura, per le ricerche storiche, per i concerti che organizza a Merlinge.
A Cascais, Umberto di Savoia ha la giornata piena, da quando il mattino sfoglia i quotidiani, uno per ogni tendenza politica (è anche abbonato all’Eco- della Stampa e ha letto tutto ciò che i giornali hanno scritto sulla sua malattia), fino a quando spegne la luce la sera.
In Portogallo è circondato da simpatia, e qualcuno dei suoi fedeli gli è sempre vicino. Adesso, per esempio, dopo tre mesi di assistenza ininterrotta e devota al «sire », il conte Olivieri tornerà per qualche tempo in Italia; ma l’ex-Re d’Italia non resterà solo: gli rimarrà accanto il conte Federico di Vigliano.
Maria José, invece, avrebbe troppe ore vuote nella propria giornata e finirebbe per annoiarsi, mi dicono. Inoltre è timidissima, come tutta la sua famiglia: come suo padre, Alberto I, re dei belgi, come suo fratello Leopoldo e come suo nipote, il re Baldovino (fa eccezione soltanto sua madre, la regina Elisabetta). Una timidezza che non è mai riuscita a vincere (anche se le hanno insegnato che una regina non può permettersi il lusso di essere timida) e che le impedisce di cambiare amici e abitudini, di punto in bianco. Forse, obiettano alcuni, una moglie italiana si comporterebbe diversamente, ma Maria José, rispondono altri, non è italiana e per di più è dotata di una precisa personalità, che bisogna saper rispettare.
Comunque, per tutto il periodo in cui Umberto si è trattenuto in clinica, l’ex-regina è stata assidua con il marito, tanto da far pensare a una possibile riconciliazione dei due coniugi, che sono sposati ormai da trentaquattro anni. Anche Vittorio Emanuele prenderà più spesso l’aereo, nei prossimi mesi, diretto a Cascais. Umberto di Savoia ce lo conferma al termine della breve udienza (fuori la «corrida de caros», la gara automobilistica, sta per terminare: presto la strada sarà sbloccata). Suo figlio, dice, è dovuto partire, era atteso da impegni di lavoro a Ginevra, ma tornerà presto, sicuramente: l’ha promesso a suo padre.
Era fatto di ferro
Intorno alla figura del principe Vittorio Emanuele si sono intrecciate negli ultimi tempi le voci più disparate, ma una persona legata da vincoli di lunga amicizia a casa Savoia mi ha fatto, con molta chiarezza, il punto della situazione. «Vittorio Emanuele », mi ha detto, sta attraversando un delicato momento psicologico. Fino all’inverno scorso, nonostante i suoi ventisette anni si poteva considerare poco più d’un ragazzo, di quelli che si scrollano dalle spalle qualsiasi responsabilità, perché c’è il padre che pensa a tutto. Suo padre che non era mai stato a letto malato, nemmeno un giorno, che era sempre il più agile, il più resistente alla fatica, in qualunque occasione, come se gli anni non fossero passati per lui. Era difficile pensare “sembrava davvero un giovanotto” che si stesse avvicinando ai sessanta.
«Poi all’improvviso, Umberto di Savoia ebbe in Grecia i primi sintomi del male. Fu ad Atene, proprio durante i funerali di re Paolo. Credette dapprima di essere rimasto troppo turbato dalla crudeltà di quella disgrazia, così repentina, che si abbatteva sulla famiglia reale di Grecia. Ma già a Parigi, dove si recò subito dopo, il suo colorito era preoccupante, una coppia italiana che ebbe occasione di cenare con lui, notò che contrariamente alle sue abitudini, (gli sono sempre piaciuti la buona tavola e i vini squisiti) il sovrano beveva soltanto acqua, e toccava appena i cibi: il medico a cui aveva confessato i suoi disturbi allo stomaco, l’aveva messo a regime.
«Vittorio Emanuele, fino a questo momento, non aveva particolari motivi per preoccuparsi», ha proseguito il mio interlocutore, e pensava, come tutti del resto, che si trattasse di una passeggera indisposizione e continuava a far parlare di sé i giornali, per i suoi amori e per le sue ragazzate. Poi, la notte del 14 aprile, Umberto di Savoia ebbe una grave crisi a Cascais, e il professor Gliveira, subito accorso al suo capezzale, lo fece salire senza perdere tempo sul primo aereo per Londra. per farlo operare d’urgenza. Fu ricoverato alla London Clinic col nome di mister Sarre (non si è mai saputo come la cosa sia trapelata: forse da Roma o, forse, da Ginevra). Perché il re non voleva mettere in allarme nessuno, neppure i suoi familiari.
Anita Pensotti
Oggi 6 agosto 1964