Grande Signora della carità
Nel settimo anniversario della morte della Regina d’Italia i figli sono tornati ancora una volta a Montpellier per sostare sulla tomba che Elena volle umile e disadorna.
Montpellier, Novembre
Per il settimo anniversario della morte della Regina Elena non meno di trecento italiani sono venuti nel cimitero di Montpellier per rendere omaggio a quella che Pio XI chiamò, con un’espressione quanto mal appropriata, “La signora della carità”. Partite da Milano, Torino, Verona, Cremona e perfino da Roma, Napoli, Catanzaro, Trieste e Catania (sui volti si leggevano i segni della fatica per il viaggio che per alcuni era durato quaranta ore ed oltre), le trecento persone la mattina del 28 novembre hanno atteso davanti al camposanto l’arrivo di Umberto di Savoia e degli a ltri membri della famiglia Reale. L’incontro col Re, alle dieci precise, è stato cordiale, discreto: spirava aria di sincera commozione e di autentica pietà; non si avvertiva eco di risentimenti, di polemiche, di sottintesi politici. C’era a pochi passi di distanza una povera tomba di pietra con su scritto un nome, Elena, che tutti in quel momento avevano segnato nel cuore.
La cerimonia è stata breve, ispirata alla massima semplicità: la Messa celebrata nella piccola cappella da un sacerdote francese, e quindi il mesto pellegrinaggio al campo dei poveri, in mezzo ai quali la regina, prima di morire, espresse il desiderio di essere sepolta. Per quanto su tutto il litorale mediterraneo della Francia imperversasse il maltempo, a Montpellier non pioveva e il sole, tra le nuvole, rifletteva una tiepida luce di corallo sulla distesa bianca, verde e rossiccia del cimitero.
Umberto, accompagnato dalle sorelle Giovanna di Bulgaria e Maria di Borbone – Parma, nonché dai cugini (il duca di Pistoia e Il duca di Bergamo), ha sostato per alcuni minuti in silenzio davanti alla tomba della madre e, quindi, ha fatto cenno ai familiari di posare sulla pietra alcuni grandi mazzi di fiori. Nel giro di pochi minuti sulla terra si è visto alzarsi un immenso cumulo di fiori: fiori della riviera, delle isole, dei giardini di Roma, della campagna napoletana posati dagli italiani, molti dei quali piangevano. Nel cielo, in quel momento, si incrociavano i tiri delle artiglierie che dal mare e dal retroterra eseguivano manovre di guerra.
Più tardi, in una sala dell’Hotel Metropole, il Re ha ricevuto fino al tardo pomeriggio i vari gruppi dei connazionali, a cominciare da otto generali della riserva presentatigli dal generale di corpo d’armata, Enrico Gazzale. Le udienze, disciplinate dal marchese Falcone Lucifero con la signorilità che lo distingue, sono proseguite nei due giorni successivi a Cannes, in un appartamento dell’Hotel Majestic, dove la sera della domenica 29 novembre il re ha acconsentito a ricevere anche noi. Argomento del colloquio: sua madre, la Regina Elena. Sul tavolo Umberto aveva i disegni del nuovo padiglione di neurologia, di imminente costruzione a Milano, che sarà dedicato appunto al nome della madre.
«Quest’opera», ci ha detto Umberto, «ricorderà mia madre in quello che le era più caro, l’amore per i poveri e i sofferenti insieme con l’esercizio della carità, praticato ogni giorno, anzi in ogni ora della sua giornata. Lo so, quando un figlio parla della propria madre, istintivamente è tentato ad esagerare, a vedere tutto bello ed esemplare e a mettere ogni aggettivo al superlativo: nei riguardi di mia madre, però, non saprei esprimermi diversamente. Quando eravamo bambini, le mie sorelle ed lo avevamo perfino una punta di gelosia perché la vedevamo sempre occupata a preparare corredini per i bambini poveri, a inviare medicine e sussidi al poveri, a interessarsi in uno stesso giorno di cento casi, uno più pietoso dell’altro, con lo stesso amore e la stessa ansia con i quali seguiva le faccende della sua famiglia. La vedo ancora davanti al miei occhi mentre, quieta e modesta, lasciava Villa Savoia per una delle sue visite clandestine nei quartieri più popolari di Roma o negli istituti di beneficenza: quando a sera ritornava e ci raccontava quello che aveva osservato e udito, la sentivamo più “mamma” e ringraziavamo Dio di essere suoi figli».
MILLE EPISODI
In verità, lo spirito di carità della regina era noto in tutta Italia: la sua biografia è piena di mille episodi. Una volta, accompagnata dal solo autista, ella andò a visitare un ammalato all’ultimo piano di una casa di operai e, nel salire, fece rovesciare una bottiglia di latte che si trovava su un pianerottolo. Un uomo, che non l’aveva riconosciuta, cominciò ad inveire contro di lei e sarebbe passato forse alle vie di fatto, se la regina non avesse ridisceso le scale a precipizio rifugiandosi nella vettura. Mussolini soleva ripetere: «Con la regina non si può parlare che di malattie e di medicine. Nessun altro argomento sembra interessarla».
Durante la prima guerra mondiale, Elena trasformò il Quirinale in un vero e proprio ospedale, dove si muoveva vestita col camice bianco; a guerra finita, aprì un dispensario per i poveri del quartiere Salario e nei sotterranei di Villa Savoia, allestì un laboratorio di calzoleria. Di Villa Savoia, i figli come è noto, dicevano: «E’ il Cottolengo della mamma».
Abbiamo chiesto al Re se il padre, Vittorio Emanuele, assecondasse le iniziative benefiche della regina. «Mio padre», ci ha risposto Umberto, «è ancora tutto da scoprire: di lui ho letto su libri e giornali cose interessanti e spesso esatte: mi sembra, però, che nessuno abbia colto la sua vera struttura interiore, il timbro del suo, animo. la natura dei suoi sentimenti autentici. Era un uomo ligio al dovere, severo con se stesso e con gli altri, con gli occhi bene aperti sul mondo, ma era anche ben altro. Forse la sua innata riservatezza impediva a chiunque l’avesse accostato di conoscerlo intimamente: mia madre, tuttavia, e noi figli sapevamo che il Re era estremamente sensibile ai piccoli problemi, alle preoccupazioni, alle ansie non solo di quelli che lo circondavano ma di tutti quelli che stavano nel cuore della regina e rappresentavano per lei un vero e proprio cruccio. E il motto di mia madre e la regola della sua vita era di posporre sempre se stessa agli altri e di dedicare al prossimo il meglio della sua attività e dei suoi sentimenti. Un’altruista, una schietta cristiana, una discepola del Vangelo: ecco cosa era mia madre ».
E’ comprensibile, quindi, che a Umberto siano molto care tutte le iniziative intese a perpetuare il nome della Regina Elena nei vari campi della beneficenza e della carità e del resto egli stesso, nel nome della madre, è costantemente presente attraverso il ministero della Real Casa in tutti gli avvenimenti dell’Italia che richiedono solidarietà, aiuti concreti. Il resto – e spesso si tratta di questioni politiche e sociali di grande importanza – sembra passare in seconda linea. Abbiamo pregato il Re di riferirci qualche episodio che testimoni il grande cuore della Regina.
Umberto ha pensato e poi ha detto: «Dovrei cominciare da quando ero bambino e finire nel novembre del 1952, quando pochi giorni prima di morire mia madre dal suo letto continuava a muovere le fila delle sue opere di misericordia: ogni giorno della sua esistenza vide un gesto di bontà. Ne parlavo ieri con la marchesa Rina Leonardi che per 47 anni fu accanto a mia madre come dama d’onore e che, nonostante la tarda età, è venuta in macchina da Novara a Montpellier, ed insieme abbiamo concluso che la vita della regina costituisce uno dei capitoli più belli della storia del costume italiano, una storia nella quale le pagine della solidarietà e della comprensione affettuosa sono più fitte di quelle del disinteresse, dell’apatia e della discordia. E’ a questa Italia che penso e a cui ispiro la mia attività, da quando ho dovuto lasciare il mio Paese… ».
Difficilmente ci è capitato di ascoltare un figlio che parlasse con tanta commozione della propria madre come Umberto di Savoia della Regina Elena. Non è un segreto che egli fosse particolarmente legato alla sovrana, dalla quale era chiamato familiarmente “Beppo” e di cui, insieme a Mafalda, era il prediletto. «Non solo gli italiani», ha continuato, «ma anche i francesi in mezzo ai quali ella visse negli ultimi anni usano nei riguardi di mia madre lo stesso linguaggio, quasi le stesse parole: così il professore Lamarque, che l’ospitò fino alla morte nella sua villa Mas de Rouel”; così il giardiniere del cimitero di Montpellier il quale cura la tomba con una diligenza davvero commovente e affettuosa». Il Re ha concluso con queste parole: «Aveva il grande dono di amare e di farsi amare da tutti».
“SIAMO DUE POVERI VECCHI”
A sette anni dalla morte, si può dire che la Regina è diventata un personaggio da leggenda: man mano che passa il tempo, la sua figura prende quota, sfugge a qualsiasi considerazione di carattere istituzionale o dinastico per apparire soltanto quella che realmente fu: la dama che cinquant’anni fa fu la prima ad accorrere a Messina devastata dal terremoto e che disse al comandante della corazzata russa, il quale non voleva accogliere i feriti a bordo: «Non è la regina che vi parla e nemmeno la principessa di Montenegro. E’ un essere umano che vi supplica in nome della pietà umana»; la regina che si era specializzata nella cura dell’encefalite lètargica per essere più vicina agli ammalati e che provvedeva personalmente a far venire dal Montenegro o dalla Bulgaria un’erba salutare, la “veratropa”; la madre che informata della morte di Mafalda cadde in una vera prostrazione da cui non si sollevò più, ripetendo spesso al marito: «Potessi avere ancora una volta vicino a me tutti i miei figli, e poi meglio finirla, tanto ormai siamo due poveri vecchi».
La tomba di Montpellier è ormai definitiva: la regina d’Italia riposerà per sempre in un Paese straniero; ogni anno, tuttavia, e anche sabato 28 novembre, gli italiani vengono a portarvi una manciata di terra italiana, da Gorizia, da Bassano del Grappa, da Villa Savoia, da San Rossore, da Sant’Anna di Valdieri, dai paesi tutti dei quali Elena fu sovrana e fu soprattutto “signora della carità”.
Alfredo Ferruzza