Piccole speranze
“Si dice sempre che sono bello e stupido, e che l’unica cosa che sappia fare sia di piacere alla donne?“, mi domanda ridendo Umberto di Savoia mentre a bordo della “1100” della quale solitamente si serve per le sue passeggiate torniamo a Cascais da Lisbona dove l’ho seguito in una visita alle librerie che si aprono numerose nella Rua Aurea e nella Rua Augusta, le due più belle strade di Lisbona, che vanno dal Rossio – una grande piazza gremita non meno che la notte che il giorno, illuminata da accecare, piena sempre del vocio che si leva dai suoi venti caffè senza mai un posto a sedere – al porto, un immenso piazzale sulla foce del Tago, ampia quanto un mare, e la riva opposta si vede solo nelle giornate limpide.
E’ una visita, questa alle librerie che il re compie spesso, quasi ogni settimana. Si tiene così al corrente delle novità di ogni paese, e ne fa larghi acquisti. Tien dietro specialmente alle francesi e alle americane. I nostri autori sono pressoché sconosciuti in Portogallo, ed è soltanto da poco che si cominciano a vedere nelle vetrine traduzioni di D’Annunzio e di Pirandello. Qui l’Italia non ha altri ambasciatori se non Fausto Coppi, Anna Magnani e Roberto Rossellini, gli unici italiani di cui si parli. Coppi l’han visto correre nella pista del campo dello “Sporting”, la Magnani possono ammirarla quando vogliono in uno dei cento e più cinematografi sparsi per la città. e quelli del centro affollati sin dalla mattina. Manca loro di veder Rossellini. Se venisse lo accoglierebbero in trionfo. Un giorno, un tale cui dicevo di non averlo mai visto e di non essermi mai curato di farne la conoscenza , mi guardò meravigliato in credulo, quasi domandandosi:”ma che italiano costui?”
Per le novità dei nostri autori, Umberto deve stare alle segnalazioni che gli fanno dall’Italia gli amici di buon gusto. Molte case editrici straniere gli mandano in omaggio i loro volumi, quelle, in ispecie, delle quali Casa Savoia era ai bei tempi assidua cliente.
“Piano piano“, mi diceva Umberto mostrandomi i già molti libro messi insieme in tre anni, “avrò di nuovo una biblioteca. Oh, non già da paragonarsi a quelle che possedevo a Roma, a Torino, A Napoli, né tale che possa consolarmi della loro perdita; ma confortarmi nella mia solitudine., si. Dedico alla lettura molte ore della mia giornata. Quella che più rimpiango è la biblioteca di Napoli. Sparita. D’una metà dei volumi le truppe d’occupazione si sono servite per accendere il fuoco. L’altra metà è andata dispersa, e di molti volumi leggo ogni tanto i titoli nei cataloghi degli antiquari di ogni parte del mondo. Ma è raro che mi riesca di comprarli. I cataloghi giungono in ritardo, e quasi sempre mi si risponde che i libri che cerco, i miei libri, sono stati venduti. Ora sono alla ricerca d’un Petrarca tutto annotato da D’annunzio e da questi regalatomi. Ne seguo da lontano i passaggi da un venditore all’altro. Arrivo sempre in ritardo. Ho recuperato molte buone edizioni del Leopardi. Me ne manca ancora una del 1824, “Le canzoni del Conte Giacomo Leopardi”, stampata a Bologna dal Nobili. Le donò Giosuè Carducci alla Regina Margherita, e mia nonna ne fece regalo a me. Sul frontespizio ci sono due dediche. Ora chi sa dov’è quel libricino se pure non è andato distrutto. Ma era troppo piccolino, forse, perché fosse giudicato buono per il fuoco. Forse è in America, nella Nuova Zelanda, nell’Africa del Sud“.
Entro con Umberto in una libreria della Rua Augusta. Un commesso lo riconosce, gli viene incontro premuroso. I clienti gli fan subito luogo dinanzi al banco.”O Rey d’Italia”. Una signora s’inchina e piega il ginocchio. E’ un re. E qui, in questa repubblica, ancora si rispettano i re. E poi i portoghesi gli sono grati perché ama sinceramente il loro Paese ed è un attento studioso della loro storia, della loro arte, della loro lingua. Per la strada tutti lo salutano. ed egli a tutti risponde, con quel sorriso aperto e franco per mezzo dei quali sa attirarsi tante simpatie. Non è raro che qualcuno si faccia ardito sino a rivolgergli la parola e presentarglisi. Un giorno, in periodo elettorale, un propagandista politico , nel passargli accanto gli disse: “Legga, lei ch’é un re democratico”. E gli ficcò in tasca un manifestino contro Salazar. “Si”, rispose Umberto restituendo il manifestino dopo averlo letto attentamente. “Ma sono anche ospite di Salazar”. E quello non finiva più di chiedergli scusa.
Tre volte la settimana Umberto riceve in casa professori e studiosi di Lisbona coi quali s’intrattiene in conversazioni prevalentemente storiche e filologiche cui da qualche mese ha cominciato a prendere parte la principessa Maria Pia. Umberto conosce a fondo la lingua portoghese, e certe sue ricerche etimologiche hanno recentemente destato molto interesse. Parla e scrive perfettamente il francese, l’inglese il tedesco e lo spagnolo.
“Ma in fatto di lingue“, mi dice, “non valgo nulla a paragone di mia sorella Giovanna che conosce l’arabo, l’ebraico, l’ungherese, il romeno, il russo e, naturalmente, il bulgaro“.
Notevolissima la sua cultura storica, della quale molto deve a Pietro Silva che gli fu maestro. Umberto, modestamente, la dice dovuta a nient’altro che all’eccezionale memoria di cui sono dotati i Savoia. Ma più che la memoria colpiscono, in chi l’ascolta, gl’illuminati giudizi sugli avvenimento, le acute interpretazioni, i geniali raffronti.
“Tra gli studiosi portoghesi che meglio conoscono la storia e coi quali, perciò, mi piace particolarmente d’intrattenermi, è un professore di Lisbona, il quale sino a poco tempo fa veniva quasi tutti i giorni a Villa Italia. Ma purtroppo è di idee comuniste, e sono stato cortesemente pregato di pregarlo a mi volta di diradare le visite. Non viene più da me. CI vediamo sulla riva del mare, C’incontriamo come per caso, e ci abbandoniamo a clandestini scambi di idee sui visigoti e sui normanni.
Fra tanti studiosi stranieri non dimentico però il mio Paese. Ho indotto due appassionati della nostra letteratura a tradurre in portoghese Petrarca e Leopardi. Quasi ogni giorno rivedo il oro lavoro, permettendomi consigli e suggerimenti. I primi volumi usciranno tra qualche mese. Oh, è ben poco. Semplicemente faccio fare ad altri quel che il mio trisavolo Giovanni di Sassonia, traduttore in più lingue di molti classici italiani, faceva personalmente. E’ autore, fra l’altro, di una bella traduzione della Divina Commedia. L’ho qui con la dedica a sia Figlia Elisabetta, madre della Regina Margherita. Sto inoltre raccogliendo notizie sulle numerosissime opere dei Della Robbia esistenti in Portogallo. Conto poi d’affidare il materiale che avrò radunato a uno studioso di storia dell’arte perché lo completi, lo ordini e ne faccia un bel libro“.
Di queste non frivole occupazioni di Umberto nell’esilio portoghese han già parlato molti giornali. Son cose note. Tuttavia non saranno pochi , ancora, i lettori che rimarranno increduli, perché di Umberto di Savoia si è detto sempre molto male e permangono sul suo conto troppe prevenzioni e troppi errati giudizi. Mi viene in mente, a questo proposito, un episodio ormai lontano nel tempo: quando Umberto, giovane Principe ereditario, ricevette l’autore di una monografia su Carlo Alberto, nella quale tutta la vita dell’italo Amleto veniva severamente giudicata, e con particolare rigore gli anni precedenti l’ascesa al trono. “E’ un bel lavoro“, commentò Umberto, “e glielo dice uno che conosce a fondo la figura di Carlo Alberto. Buona parte delle critiche che lei gli muove sono anche giuste. Ma se sapesse“, soggiunse con un amaro sorriso, “quanto è difficile la parte del principe ereditario! “C’e forse in queste parole il segreto di tutta una vita che pochi han potuto penetrare, e tra questi pochi il Maresciallo Caviglia il quale disse un giorno a Vittorio Emanuele III che suo figlio sarebbe stato un gran re.
Ricordo l’episodio a Umberto. “I tempi, per ora, non mi sembrano favorevoli alla predizione“, osserva sorridendo.
Da Lisbona a Cascais non corrono che trenta chilometri di bella strada. Tra pochi minuti saremo a Villa Italia. Passiamo dinanzi ai begli alberghi dell’Estoril, candidi fra il verde dei palmizi.
“Dunque“, ripete il re, “si dice sempre che son bello e stupido, e che l’unica cosa che sappia fare sia di piacere alla donne?“
“La Rochefoucauld”, rispondo, “ha scritto che nulla diverte di più alla gente che giudicare gli uomini che non conosce”.
Ecco le prime case di Cascais, la piazza con le reti distese in terra, la scogliera selvaggia, il faro solitario, Villa Italia.
“M’aiuta“, dice il re, “a riporre i nuovi libri negli scaffali? Non qui. Qui vede?, non c’è più posto. Tre giorni fa ce n’era ancora, perché il Guicciardini, ricorda?, era incompleto. Mancavano il terzo ed il quarto volume. Ora ci sono, Già il Guicciardini della biblioteca di Napoli. Si meraviglia? Vuol sapere come, volume per volume, prima il sesto, poi il secondo, poi il primo, poi il quinto, e infine l’altro ieri, il terso e il quarto insieme, il Guicciardini della biblioteca di Napoli sia venuto sin qui? No, non l’ho ricomprato dagli antiquari. E’ tornato così come quasi ogni giorno mi tornano altri libri. E’ come una favola. Le truppe d’occupazione, come le dicevo, parte ne distrussero, parte ne portarono con sé in patria, e precisamente i più antichi o i meglio rilegati, quelli insomma di maggior prezzo. Tornati a casa, li vendettero ai librai. E i librai – dall’America, dall’Australia, dalla Nuova Zelanda- spesso me li rimandano. Dall’ex libris vedono che m’appartengono, e ne fanno omaggio all’antico proprietario. Sanno ch’è un re in esilio. Ne hanno forse un po’ pena, e sanno quanto anche un solo libro possa riuscir di confronto. E volume per volume, come vede, il Guicciardini è tornato. Ora sa che cosa aspetto?“. Mi mostra in uno scaffale, un posticino vuoto, riservato, ove si ripetesse il caso del Guicciardini, al Leopardi del 1824 donato dal Carducci alla regina Margherita e dalla nonna al nipote.
“Le confesso“, mi dice sorridendo, come se col sorriso potesse nasconder la commozione che gli trema leggermente nella voce, “le confesso che ogni volta che il postino suona, spero sempre che abbia sotto il mantello quel Leopardi, e vorrei corrergli incontro, come fanno o ragazzi, nei giorni prima di Natale, che aspettano un gran regalo, e a ogni suono di campanello la speranza gonfia loro il cuore. Cosa vuol mai, sono le speranze dei re in esilio. Piccole speranza. Io qui, sulla riva dell’oceano, ho quella dei libri, che tornino come uccelli al nido“.