Domenica del Corriere n 13/14, 3 aprile 1973
A Cascais con Umberto dopo la risposta del nostro governo all’interpellanza monarchica
Perché Umberto non accetta la scelta di Superga
Non potrò mai ammettere che mio padre e mia madre non sono degni del Pantheon: non li posso tradire e non intendo scendere in polemica con Roma.
La salma di Vittorio Emanuele III resterà così ad Alessandria d’Egitto e quella di Elena di Savoia a Montpellier.
Cascais
«Vogliono che accetti Superga? Vogliono che dica: ecco, le spoglie di mio padre, mettetele a Superga perché del Pantheon non è degno? E’ questo che vogliono? No, non potrò mai dirlo. Non potrò mai tradire mio padre. Appartengo a una famiglia che ha regnato per mille anni. E non un Savoia avrebbe accettato, durante tutto questo tempo, di sminuire la figura del proprio padre».
Alla decisione del governo italiano Umberto di Savoia risponde con un «no» che non lascia dubbi. Aveva chiesto in un messaggio di considerare se non fosse giunto il momento di permettere il ritorno in patria delle salme dei suoi genitori. Vittorio Emanuele III e la Regina Elena, e otto mesi dopo il sottosegretario alla Presidenza dei Consiglio Evangelisti gli ha risposto «sì». Ma ha aggiunto che il «permesso» prevedeva la sepoltura nella basilica di Superga, a Torino. Umberto non accetta. «Io non scendo in polemica col governo italiano. – dice – Lei capisce che non posso scendere in polemica con il governo italiano».
Una visita di cortesia
La salma di Vittorio Emanuele III resterà, dunque, nella chiesa di Santa Caterina ad Alessandria d’Egitto, dov’è dal dicembre 1947, e quella della Regina Elena continuerà a riposare nel cimitero di Montpellier in Francia, dov’è dal novembre 1952.
Umberto di Savoia è a Villa Italia, a Cascais, in Portogallo, dove risiede abitualmente, una palazzina a due piani. Ghiaia nei vialetti. cinque o sei gradini e si è all’androne. Un tricolore con lo scudo sabaudo uno stendardo blu Savoia, al centro un quadro di Vittorio Emanuele III. Sotto il libro delle firme, di coloro che arrivano sin qui per rendere omaggio al Sovrano. Umberto riceve un preside di scuola, poi un commerciante di liquori, poi il giornalista che vorrebbe saperne di più sul1 retroscena di questo singolare colloquio a distanza tra il Re d’Italia e il governo della repubblica. I re non concedono interviste », ripete la signorina Maria Rabbia. segretaria particolare del Sovrano. Sono trattative tra due «mondi».
«Ho la sua parola d’onore che non sarà un’intervista? » chiede il conte Raimondo Olivieri aiutante di campo dell’ex sovrano. «Come possiamo definirla allora, una chiacchierata? » chiediamo «la sua è una visita di cortesia». spiega.
Elegante e abbronzato
Olivieri, piccolo, capelli bianchi, ottantasette anni, tutti dedicati alla Casa Reale, impeccabilmente vestito di scuro, nodo di Savoia all’occhiello, chiarisce cosa sia una «visita di cortesia», « Sua Maestà le farà delle domande e lei risponderà », ci dice – il che non è precisamente un’intervista. Chiediamo almeno che Umberto sappia qual è l’argomento sul quale vorremmo che la conversazione vertesse. «Vedrò» risponde Olivieri.
Decine di quadri dei Savoia alle pareti. Il divano giallo, uno scrittoio, foto in cornici d’argento. I quadri sono quelli che i domestici della casa reale di Napoli riuscirono a nascondere ai soldati alleati. Li avevano tenuti nascosti chissà dove per un anno e più, poi li avevano affidati a un piccolo armatore di Trani perché li portasse a Umberto ormai in esilio a Cascais. Li consegnò ad una cameriera portoghese un marinaio pugliese che si era annunciato dicendo: «Al porto c’è roba per il Re». Erano i quadri che adesso sono lì. Tra questi il ritratto di Vittorio Emanuele III in uniforme, di profilo. Lo stesso profilo che per mezzo secolo gli italiani hanno visto sulle monetine e i francobolli.
Le due finestre a piano terra danno sul verde del giardino e guardano verso il mare, centro metri al di là della strada. «Non ho altro popolo che quello degli scogli su cui vedo infrangersi le onde dell’Atlantico, ripete spesso l’ex re nei giorni di malinconia. Quando è tempesta Cabo Raso è un inferno. Il vento fischia dalle fessure delle finestre di Villa Italia. Cabo Raso è la punta estrema d’Europa. E sulla strada c’è una lapide che è lì chissà da quanto tempo. C’è scritto: «Qui finisce la terra e comincia il mare».
Umberto è in grigio, elegantissimo. Abbronzato e in forma non dimostra i 69 anni che ha. «Lei è qui per la questione della sepoltura di mio padre e mia madre in Italia , mi dice, « ma io non posso dirle nulla più di quanto già ho detto. »
Non intende dilungarsi oltre sul contrasto che oggi l’oppone al governo italiano. «Su questo trasferimento ho già esposto il mio pensiero. Non voglio oggi aggiungere altro perché non è mia intenzione polemizzare. »
«Ho faticato a dissuaderli»
Il suo pensiero Umberto lo espresse in un messaggio, il 10 dicembre scorso. Era diretto ai giovani monarchici riuniti a Roma, al cinema Capranica, nel ventesimo anniversario della morte della Regina Elena. La manifestazione intendeva forzare la mano al governo che, dal 12 luglio, non rispondeva a un’interrogazione di tre senatori della Destra nazionale – Benedetto Majorana, Giuseppe Pepe e Michele Pazienza – i quali avevano chiesto di concedere il permesso perché le salme dei Sovrani tornassero in patria.
E’ assai probabile che anche Umberto, come gli altri monarchici, vedendo tardare la risposta, abbia pensato che forse qualcosa stava mutando nell’atteggiamento del governo. Soltanto così si spiega come mai, quando i giovani dei gruppi monarchici decisero di fare uscire il governo dal suo silenzio e organizzarono la riunione al cinema Capranica, Umberto «sente» di doverli appoggiare. Il messaggio dice «Vedo reclamate per il Re soldato e la Regina benefica il diritto alla sepoltura nella propria terra riconosciuto da tutte le genti. Ciò tocca profondamente il mio cuore di figlio come gli interessi generali toccano il mio cuore di Re». E, più avanti: «Vi ringrazio e con voi auspico che la sepoltura dei miei Augusti genitori nel Pantheon della Patria si attui non già in una Italia dilaniata e divisa ma fraternamente unita». L’accenno al Pantheon era, per Umberto, del tutto ovvio. Vi sono sepolti Vittorio Emanuele II dal 1878, Umberto I dal 1900 e la regina Margherita dal 1926.
Più o meno nello stesso periodo, si diffuse anche la voce che la salma di Vittorio Emanuele III fosse stata rapita da un «commando» di fedelissimi.
«Non ci sono retroscena. Tutto è nato da un equivoco – racconta oggi Umberto, – Alla chiesa di Santa Caterina, ad Alessandria d’Egitto, dove è sepolto mio padre, sotto l’altare, maggiore, stanno facendo dei lavori, spostano l’altare e la tomba di mio padre sarà posta in un loculo sulla destra del tempio. Da questo spostamento è nata la voce che la salma fosse sul punto di essere portata in Italia. Un equivoco, dunque.»
Niente « rapimento ». Tutto ne esce ridimensionato. Racconta invece che tempo fa un gruppo di monarchici aveva fatto sapere che stava organizzando il rapimento delle spoglie di sua madre, «Ho faticato a dissuaderli », racconta.
La notizia che il governo italiano è disposto a concedere la sepoltura dei suoi genitori a Superga è stata appresa da Umberto per telefono, lo stesso martedì 13 marzo in cui è stata comunicata al Senato. E subito Umberto si è reso conto di essere ad un bivio. Se accetta Superga – dove sono cinque Re sabaudi ma nessuno dei Re d’Italia – praticamente si inchina al volere del governo di Roma; se risponde «no» il suo è aperto dissidio. E nemmeno questo vuole.
Il momento dei ricordi
«Che i poveri corpi di mio padre e mia madre giacciano in terra straniera o in terra italiana poco mi importa» dice a chi gli è vicino Umberto. « Non posso accettare: se tornassero in Italia, non potrei più andare a trovarli. Accetterei il sacrificio soltanto se li sapessi sepolti al Pantheon. A chi gli dice che Superga potrebbe essere l’anticamera del Pantheon risponde scuotendo la testa: «Al contrario Superga è stata offerta per escludere appunto il Pantheon».
La sera scende su Villa Italia. La luce calante scava rughe sul volto di Umberto. Rughe che prima, col sole, erano impercettibili. Umberto si rende conto che forse l’occasione non gli sarà mai più offerta. «Non posso tradire mio padre» dice «Non posso dire: ecco. Accetto. Eccovi i suoi resti, metteteli a Superga, non è degno del Pantheon.»
«Vogliono questo?» si chiede. E non sembra attendere risposta. Sulla porta il conte Olivieri, che sembra aver elevato la devozione a sistema di vita, s’inchina al suo passaggio. Ormai, fuori, il giardino è una macchia nera. E il mare, verso Cabo Raso, batte sugli scogli; lugubremente. Adesso. E’ l’ora in cui a Umberto restano soltanto i ricordi.