- Mio Padre riconosceva che poteva aver errato e mi consigliava, se necessario, di servirmi anche dei suoi nemici.
La Villa Italia, modesta ma accogliente, dove risiede con le tre figlie: Maria Pia, Maria Gabriella, Maria Beatrice, è poco fuori Cascais, a cinquecento metri dalla casa che ospita le poche persone del seguito del Re e cioè il Professor Aldo Castellani, il Marchese Carlo Graziani, capo della Casa civile del Re; il generale di divisione aerea Cassiani-Ingoni, aiutante di campo generale, e il capitano Mario Castellani Ufficiale di ordinanza.
Nella Villa abitano altresì una professoressa inglese e la signorina Pallavicini, che s’interessano all’educazione delle principessine.
La località ove si trova la villa prende il nome da un enorme buca scavata dal mare nelle rocce. Vengono molti turisti, ammirano per breve ora quell’anfiteatro d’una lotta secolare tra la lingua limante delle onde e la costa cavernosa.
“Ricevo ogni giorno lettere dall’Italia, o per posta o recatemi da cortesi viaggiatori: è l’unico legame, oltre quello del cuore, verso una Patria che malgrado l’esilio, mi comprende tra i suoi quarantotto milioni di figli”.
Siamo nel piccolo salotto al pianterreno della villa: dinanzi a me sulla parete esposta al sole, che lo aureola, è un magnifico ritratto della Regina Margherita.
“Le lettere che più mi attraggono e mi commuovono sono quelle di persone modeste, operai, tranvieri, reduci di guerra: le loro espressioni talvolta ingenue, ma sempre commoventi, valgono più di tutta una letteratura per riconfortarmi dall’esilio. Con l’esame di giornali, di libri, e con la radio, mi tengo a costante contatto con l’Italia”.
Aggiunge: “Ho ricevuto i giornali e la ringrazio per quanto ha scritto nei suoi colloqui con Vittorio Emanuele III: ho molto apprezzato il tatto ed il rispetto della verità, che consiste soprattutto nel vedere e nel rilevare il lato umano che era un mio padre, chiuso quasi impenetrabile, ma amante della Patria e del popolo italiano, con un affetto intimo, talmente profondo, che nell’ora del crollo, non più ripagato, ne affrettò la morte. Ma non ebbe mai parole di risentimento per nessuno, né di scusa per se stesso. Mi disse : “ Tu sai che ho avuto un duro lavoro, mirando sempre, anche se posso aver errato, al bene della Nazione. Riconosceva di potere avere errato e mi consigliava di perdonare, anzi di servirmi, se l’interesse del paese lo richiedeva, pure dei suoi nemici.
Quelle parole mi dettero un senso di sollievo perché rappresentavano già il mio pensiero di sempre: da quando nello studio dell’opera dei miei avi, notai che Vittorio Emanuele I, nel 1815, aveva teso la mano agli oppositori, servendosene nell’interesse del popolo; così nel 1849, tra i ministri non pochi erano stati i più accaniti antimonarchici. Nessuno è perfetto e un’evoluzione è data a tutti.. Ecco perché io, pure apprezzando il suo brillante stile nel profilo su Carlo Sforza apparso in un settimanale italiano, non ne condivido la severità del giudizio. Gli uomini debbono essere giudicati, non tanto per quel che dicono , ma per quello che a un dato momento fanno. Come lei già sa il mio pensiero si compendia in questo preciso concetto: non importa il male che gli altri possono dire di noi, importa il bene che essi possono fare al paese”.