I trentacinque giorni
- Lascio la mia Patria
Qui s’interrompe. Come agire, fra gli alleati che si preoccupavano logicamente più di finire la guerra che delle nostre beghe interne, e i CLN che, prima di ogni risveglio del popolo italiano, si preoccupavano di finirla al più presto con la Monarchia? E tutti quei decreti da firmare con la penna e non con il cuore?
(Fatto ancor più strano se esaminato a distanza di anni mentre il figlio del Re si trovava a capo dello stato, allora i potere era nelle mani degli antimonarchici! Forse, prima del referendum, era questo ingiusto squilibrio tra le forze che bisognava impedire o correggere. Ma io pensavo più al paese che alla Corona… E non fu ingenuità la mia, poiché se più tardi la guerra civile venne evitata, mi conforta il pensiero che, nella speranza di un bene reale e non effimero dell’Italia ciò fu dovuto al mio sacrificio personale). Nota di Umberto II
Quanto all’abdicazione di Vittorio Emanuele III a favore del figlio, la appresi dal Ministro della Real Casa Falcone Lucifero, che era già venuto alcune volte a casa mia.
Già in precedenza egli mi aveva detto:
“Prima del referendum Vittorio Emanuele III abdicherà in favore del figlio e partirà in volontario esilio. Non occorre statutariamente alcun documento per l’abdicazione. Il sovrano dice io abdico e il nuovo re sale al trono.
Vidi Umberto II, brevissimamente fra l’arco tesi di quei trentacinque giorni di regno. Avevo di fronte un re giovane, uscito dall’ombra di un re vecchio, nella piena luce del più grave dramma che l’Italia abbia mai attraversato nella sua storia.
Mi disse, e la sua voce aveva una nota di commozione:
“Affacciandomi al balcone del Quirinale il 10 Maggio, sentii vibrare, con il cuore di quella vasta folla plaudente, la speranza d’una pacificazione nazionale e di un rinnovamento sociale che da tempo era nel mio cuore. Se una Monarchia socialista e una democrazia progressista sono possibili in Italia sotto simboli nazionali, tutte le mie energie saranno volte a questo scopo. Come ho detto salendo al trono, io non desidero che di essere primo tra gli italiani nelle ore dolorose, ultimo nelle liete…”.
Due mesi prima del referendum, sanzionando i relativi decreti istituzionali aveva dichiarato:
Io profondamente unito alle vicende del Paese, rispetterò come ogni italiano le libere determinazioni del popolo, che, ne sono certo, saranno ispirate al migliore avvenire della Patria…
Il 2 giugno manteneva la promessa:
Con l’animo colmo di dolore , ma con la serena coscienza di aver compiuto ogni sforzo per adempiere ai miei doveri di Re, io lascio la mia patria…
26 Gennaio 1949. Ciampino è avvolto in una dorata nebbia di sole, ispessita dallo stordente rombo dei motori. Da questo stesso aeroporto il 13 giugno 1946, alle ore 16.30 Umberto II lasciava l’Italia.
Roma scompare
L’aereo sul quale, alla stessa ora, sono salito oggi, si stacca dal suolo con una manovra così perfetta che se non guardassi dal finestrino, non me ne sarei accorto: guardo, e il pensiero ricorre a quel giorno del giugno di circa quattro anni fa: e se a me, che lascio per brevissimo tempo la patria, scorgere rimpicciolire Roma, e poi, una volta sul mare, lontanar la mia terra , dà uno stringimento al cuore ritengo che il giovane sovrano, spiccato il volo e una volta l’aereo nel cielo che è il vero regno di tutti, avrà provato uno spasimo ben più acuto.
(“ Fu il giorno più triste della mia vita. Piansi quando vidi Roma allontanarsi e sparire. Non mi era dato il tempo di dimostrare la mia preparazione e la mia volontà, soprattutto il sincero e disinteressato attaccamento alla nazione di cui ero figlio. E a mano a mano che mi abituavo al rombo dei motori , su di esso pareva giungermi la eco delle parole che avevo dette per preannunciare la mia opera di capo dello Stato:
“Quando un popolo, in così aspro travaglio, non cede di fronte alla immensità della sciagura ed alla avversità del destino, ma trova nelle fibre profonde della stirpe il coraggio per non disperare e la forza per lottare ancora, quel popolo può alzare la fronte davanti a tutto il mondo ed affermarsi degno di un migliore avvenire”. E ancora: “tradizione che sta a base del patto fra popolo e monarchia, che, se confermato, dovrà costituire il fondamento di una monarchia rinnovata, la quale attui pienamente l’autogoverno popolare e la giustizia sociale…”.) Nota di Umberto II