di Nino Bolla
- Le accuse di fuga
Ieri al nostro ritorno a Cascais mi ha detto: “L’aspetterò domattina alle 9. Venga pure armatissimo di domande!”.
Mi riceve nello studio al primo piano, piccolo, accogliente, soffocato da libri e quadri: specie libri. E giornali, giornali…
“Leggo tutto quello che posso avere e mi mandano e pure ciò che si scrive contro di me falsato o errato: talvolta da ciò che gli altri dicono di noi, impariamo a conoscere non solo noi stessi, ma anche gli altri!”.
“Il mattino mi sorprendo quasi sempre con il pensiero all’Italia, cala la notte, e prima di spegnere la luce e riposare, ho la visione della Piazza del Quirinale, di Roma , la città che non si può non amare”.
Mi guarda, punta una mano sui miei fogli:
“Non riporti queste parole o almeno le riporti il più esattamente possibile, perché potrebbe darsi che qualcuno invece di scorgere in esse il sentimento dell’uomo, potrebbe vedervi la nostalgia del re! Vorrei rassicurare coloro che s’allarmano con molta facilità: il mio pensiero non è mutato da quando dichiaravo, prima del referendum: “Profondamente unito alle vicende del Paese rispetterò, come ogni italiano, le libere determinazioni del popolo, che, ne sono certo, saranno ispirate al migliore avvenire della patria”.
Ritiene Vostra Maestà che siano state libere le determinazioni del popolo?
“Mi basta soltanto che siano state ispirate al miglior avvenire della Patria; se lo sono state. Tutto mi si potrà negare, specie per partito preso, ma soltanto chi è in malafede può non riconoscere che io posseggo l’intelligenza per capire che la storia, più che gli uomini, la fanno o la concludono gli eventi.
E giacché siamo in argomento le dirò alcune verità che riguardano la mia partenza dall’Italia. Più che ogni palese, o velata, minaccia alla mia persona, a determinare la scelta per me della via dell’esilio fu il mio grande e reiteratamente dichiarato amore per Trieste.
E’ bene dirlo una volta per sempre. Come non ignoravo, parola per parola,anche da parte dei più agitati, nei notturni consigli dei ministri al Viminale, così ero informato, di ora in ora, dei movimenti alla frontiera. Nell’istante in cui lottavo maggiormente con me stesso tra la scelta di subire quello che consideravo un sopruso, o usare a mia volta e con maggiore tempestività un atto di forza, per difendere non tanto una situazione personale quanto la giusta richiesta che mi veniva negata, (cioè di non anteporre la decisione del Governo alla decisione finale della Corte Suprema) mi pervenne da fonte ineccepibile la notizia che nel caso di un urto tra la Monarchia e il governo, le divisioni di Tito avrebbero marciato su Trieste, proseguendo anche oltre.
Una domanda mi brucia sulle labbra e la pongo:
“Sa Vostra Maestà che non pochi parlarono e parlano della sua partenza come di una fuga?”.
“Non è certo piacevole e lusinghiero dopo che ci si è sacrificati per un motivo superiore, sentir parlare di fughe.. Ma forse questo è il tema preferito di coloro che non fuggono mai, forse semplicemente perché non affrontano mai i pericoli.. Non lasciò lo stesso Stalin la capitale per recarsi a Nubisov quando Mosca era minacciata? E Poincaré, nel 1914 di fronte ai tedeschi? E Lebrun nel 1940, sempre davanti ai tedeschi? E il Re di Norvegia?, e la Regina Guglielmina di Olanda e il Re di Grecia, e il Re di Jugoslavia e Benes… non fu fuga? Solo per mio padre e per me l’offensiva parola, che alla fine si ritorce su chi la usa, perché le fughe morali sono peggiori di quelle materiali! Come io intesi salvare, non me stesso, ma qualcosa che è al di sopra delle persone e cioè l’italianità di una città che è nel cuore di tutti dalle Alpi alla Sicilia, così l’8 settembre 1943 la partenza del re e del governo salvarono Roma. Si può discutere sulle disposizioni date. Ma ciò riguardava il governo, non la Corona. “ I provvedimenti erano stati presi e le disposizioni date” : così disse Badoglio a mio padre. E il mattino alle 5, alla mia richiesta di una riconferma rispose: “L’hai pensà mi a tut!” (Ho pensato io a tutto). Se le disposizioni furono date, e poi non vennero tutte eseguite, è al Maresciallo Badoglio che si può ascrivere quello che non fu fatto. Ripeto: la partenza del Re e della famiglia Reale da Roma salvò la capitale. E’ bene dichiararlo apertamente, al di là delle illazioni interessate, a dimostrare ciò che non è vero. Esistono documenti i Italia, che sono in buone mani, comprovanti quanto io affermo. E anzi voglio dargliene la prova con uno di detti documenti… Ecco…”