Vittorio Emanuele III e il Manifesto Comunista – Carlo Marx superato dal Re Riformatore.
(Siamo all’inizio del secolo XX e presto il socialismo italiano si andrà orientando verso la politica giolittiana cioè verso la Monarchia e lo sarà pure il Partito cattolico. Treves e Turati, Bonomi e Cabrini, Pietro Chiesa e Rinaldo Rigola e d’Aragona e lo stesso Bissolati che alla Camera nel 1899 aveva gridato morte al Re “, collaborano lealmente).
UMBERTO: «Il programma minimo socialista è il programma della Monarchia, la quale assume alle volte atteggiamenti anticipatori: si è sempre invocata l’ascesa al potere delle classi lavoratrici ma mio Padre l’aveva già spontaneamente offerta nel 1903 con l’invito di Giolitti, fatto a Turati di partecipare al Governo, invito seguito da un rifiuto non per ragioni di principio ma per ragioni contingenti (immaturità delle masse), mentre l’anno precedente era stato ricevuto al Quirinale il socialista on. Montemartini creatore dell’Ufficio del lavoro. Poche nazioni hanno avuto, come ha avuto l’Italia, tanto fervore legislativo, e provvidenziale per le classi lavoratrici: rifacendosi sulla falsariga delle vecchie leggi emanate dal 1860 al 1900 si correggono e si amplificano i provvedimenti adattandoli alle necessità della vita moderna ed ai nuovi problemi. Lo Stato non è più inteso come un organo di sfruttamento ma come uno strumento operante per il potenziamento ed il progresso della vita economica e sociale della Nazione. Come nei secoli passati la Monarchia dei Sabaudi ebbe la funzione storica di difesa del popolo contro le angherie e le prepotenze feudali, dopo l’Unità si fece protettrice dei poveri e paladina dei diritti del lavoro».
(Basta esaminare lo sviluppo, legislativo sulla quistione sociale e sulla produzione economico-industriale: è veramente imponente. Leggi sull’Agro romano, sulla pellagra e profilassi malarica e sulla assistenza sanitaria, sulle case operaie, sulla protezione del lavoro delle donne e dei fanciulli numerose le leggi sui probiviri, sugli infortuni sul lavoro che furono poi tradotte in Testo Unico, la legge sul riposo settimanale, sulla previdenza sociale, invalidità e vecchiaia, uffici di collocamento, Casse di maternità e di disoccupazione, ecc. E’ tutto un rifiorire di provvedimenti che correggono amplificano aggiornano vecchie disposizioni rese insufficienti dal progredire dei tempi. Ne beneficiano tanto le masse operaie quanto l’economia nazionale che assume proporzioni di vera floridezza. Sorge la Confederazione del lavoro alla quale vi aderiscono innumerevoli Camere del lavoro le quali non sono altro che le vecchie Associazioni operaie sorte sotto l’egida della Monarchia e trasformate in organismi politici dalla propaganda socialista. A Napoli si accentua una vigorosa ripresa industriale e molti servizi pubblici vengono municipalizzati).
UMBERTO: «Lunga e tenace fu nell’Emilia la cosiddetta lotta fra gialli e rossi, ossia fra repubblicani e socialisti per l’esercizio delle trebbiatrici. Il Governo si limita alla tutela dell’ordine e lascia ampia libertà di contesa fino alla vittoria completa delle cooperative dei braccianti. Degno di particolare rilievo il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita che, quale complemento della mirabile iniziativa delle Casse postali di Quintino Sella, ebbe tutta l’impronta di una legge rivoluzionaria in quanto veniva a infrangere formidabili catene di interessi e privilegi di compagnie italiane e straniere; col monopolio si poterono raccogliere capitali ingenti onde finanziare lavori pubblici, bonifiche e ferrovie ad un tasso mite, mentre una rilevante quota degli utili di gestione era devoluta alla Cassa di previdenza degli operai; si stipulano – con la formula liberale della clausola della nazione più favorita – trattati di commercio con tutte le nazioni ad opera di Luigi Luzzatti artefice della conversione della rendita quando la lira di carta faceva premio sull’oro e la nostra marina mercantile dal settimo posto passava al terzo fra le grandi nazioni marinare. Così l’Italia assurgeva a grande potenza».
(Colgo l’occasione e mi permetto di richiamare alla memoria del Sovrano il Manifesto dei comunisti e ne rievochiamo assieme i 10 punti i quali riassumono il contenuto delle: rivendicazioni operaie: il primo punto accenna alla “espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della rendita per le spese dello Stato”. Sorvoliamo su questa parte che del resto è stata rinnegata dal revisionismo bersteiniano in Germania, da Jaurès in Francia, dai nostri riformisti italiani e dallo stesso Georges Sorel, il venerando capo del sindacalismo mondiale e sta provocando in Russia effetti disastrosi. Degli altri nove punti, quattro soli sono degni di rilievo: istruzione obbligatoria – nazionalizzazione dei trasporti – divieto del lavoro notturno alle donne ed ai fanciulli – imposta progressiva).
UMBERTO «La Monarchia ha soddisfatto a queste aspirazioni dei comunisti senza scosse rivoluzionarie, senza sommosse, spontaneamente e senza togliere la libertà a nessuno. Ma essa ha dato ancora di più, ha dato alla classe operaia una lunga serie di benefici e privilegi che nel Manifesto non sono nemmeno accennate».
Con Sua Maestà passiamo a enumerarli:
-la politica degli alti salari
-riconoscimento giuridico delle Camere del lavoro libertà di sciopero, cioè il diritto all’operaio di contendere la ripartizione della ricchezza prodotta nella fabbrica o nei campi in collaborazione con la classe padronale
– le otto ore di lavoro
– la redenzione delle lavoratrici delle risaie
– le assicurazioni sociali
– ammissione delle cooperative ai pubblici appalti
– il riposo festivo
– il suffragio universale
– il primo maggio consacrato ufficialmente festa del
lavoro
– ripetuti inviti alle classi operaie ad assumere la responsabilità del potere.
Il colloquio volge al termine ed è durato oltre il previsto: ricapitolando le varie questioni toccate ed illustrate le riassumo con l’approvazione del Sovrano, in questi quattro punti:
1 – La Monarchia, già dal 1860, subito dopo l’annessione del Mezzogiorno, guardò con sollecitudine gli interessi delle classi diseredate sostenendo una più equa giustizia sociale con la protezione delle minoranze che apriva loro la possibilità di diventare pacificamente maggioranza.
2. – Dal 1880 al 1890 si ha un vero rifiorire di legislazione sociale con provvedimenti anticipatori contenenti i germi delle più audaci riforme sociali maturate più tardi ed adattate alle esigenze contingenti: dal 1901 al 1915 e dal 1919 al 1946.
3. – Tutta la struttura legislativa del Regno e le conquiste del socialismo stanno a dimostrare che la Monarchia ha dato alla classe operaia più di quello che Carlo Marx aveva reclamato nel Manifesto dei comunisti.
4. – La collaborazione del socialismo riformista con la Monarchia fu il risultato dell’offerta della responsabilità del potere alla classe operaia in un clima di libertà e di vera democrazia che portava alla elevazione dei salari e ad un più alto tenore di vita, col grandioso risultato della riconciliazione delle masse con lo Stato affermatasi gloriosamente a Vittorio Veneto.
(Questo atteggiamento della Monarchia esige un commento: esso va considerato come un capolavoro di saggezza e di intuizione precorritrice di Vittorio Emanuele III nel 1903 quando invitò Turati e poi nel 1911 quando ricevette Bissolati (la famosa visita in giacchetta e cappello a cencio). Fu questo l’anno dei grandi propositi riformatori e, oltre alla guerra di Libia, bisognava provvedere al varo della legge per il suffragio universale che, sia detto ben chiaro, non era nemmeno stato chiesto in termini perentori dalle masse ma venne elargito in considerazione della loro maturità. Bissolati rifiutò di partecipare al Governo non per dissenso programmatico ma perché riteneva inutile la sua presenza nel Ministero o quella di qualche suo compagno dato a fiducia che le masse riponevano nella lealtà del Sovrano. Il favore dimostrato dalla Corona verso le classi operaie lo riconosceva lo stesso Togliatti Quando a Torino due anni fa commemorava Giovanni Giolitti: “Tutta la politica giolittiana dal 1900 in poi pare costruita sulla richiesta di una collaborazione governativa con gli uomini più rappresentativi della classe operaia; si trattava della formazione e dell’avvento di una classe nuova, della formazione di nuovi gruppi sociali di operai, di braccianti attraverso la concessione della libertà di organizzazione e di sciopero agli operai e una serie di misure di ordine sociale ed economico a favore soprattutto del movimento operaio. Tutto questo accompagnato ad una costante avversione ai ceti plutocratici e ai tentativi di colpirli con misure legislative”.
Migliore elogio alla Monarchia non si poteva, non si può fare. E questo elogio è venuto dal capo del comunismo italiano. Ma già durante la grande guerra uomini dell’estrema sinistra si erano avvicinati alla Corona: furono al Governo i repubblicani Barzilai, Comandini, Eugenio Chiesa ed Ettore Sacchi, il radicale Fera ed il cattolico Meda nonché il capo riconosciuto della frazione socialista riformista Leonida Bissolati. Non possiamo chiudere questa nostra intervista senza rilevare un fatto di alta importanza: durante la crisi del 1921 essendo Presiedente del consiglio il socialista Ivanoe Bonomi, Vittorio Emanuele lo pregava di ritirare le dimissioni o per lo meno di tentare un ultimo approccio coi socialisti. Il Re aveva insistito: “Chiami questa notte i suoi amici socialisti e li induca a formare con lei il Ministero (è lo stesso Bonomi che ha raccontato il fatto su un settimanale milanese). L’on. Turati che era in casa di Bonomi ad attendere l’esito del colloquio aveva aderito. Ma l’on, Modigliani ed altri esponenti del Partito socialista posero condizioni tali che non davano garanzie sufficienti di stabilità al nuovo Governo di sinistra. Essi erano più che altro preoccupati di “battere il passo con le masse”, creando così quella situazione che, col “veto” di don Sturzo a Giolitti, spianava la via al fascismo dal quale furono travolti).