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Umberto II e Vittorio Emanuele insieme a Palma di Maiorca per i 20 anni dall’esilio – IV parte

By Marzo 23, 2025No Comments

Il principe ereditario

Fino a qualche anno fa, era Umberto a volere che Vittorio Emanuele si estraniasse dalle manifestazioni ufficiali, anche perché, a quell’epoca, il principe manifestava maggior interesse per la vita mondana e sportiva di quanto non ne ostentasse nei confronti delle questioni dinastiche della casata. La nonchalance del giovane principe era addirittura proverbiale. Molti ricordano che recandosi a Montpellier per la commemorazione funebre della norma, la regina Elena, Vittorio si presentava sprovvisto addirittura degli abiti di circostanza. Tanto che era Carlo Pianzola a provvedere al riguardo.

Il 24 giugno scorso invece, a poppa dell’Ascania, il generale Valle parlando a nome della Consulta dei senatori del Regno, così si esprimeva: “La Consulta è fiera per aver Vostra Maestà autorizzato S.A.R. il principe ereditario Vittorio Emanuele ad assumere nell’alto consesso il posto di primo dei suoi membri che gli assegnava lo Statuto del Regno”. Due fatti in uno: veniva riattivata ufficialmente la Consulta i cui componenti, da centoventi si erano ridotti, per estinzione, a sessanta, e nello stesso tempo Vittorio Emanuele ufficialmente, col consenso paterno, veniva presentato come principe ereditario al trono d’Italia. Li sulla poppa della nave, in quel lembo d’Italia, nel giorno di quel ventennale sull’acqua.

Re Umberto II con Vittorio Emanuele Principe di Napoli

Re Umberto II con Vittorio Emanuele Principe di Napoli

Di contro la Regina Maria Josè non c’era e anche le principesse mancavano. I giovani duchi d’Aosta, che avrebbero dovuto imbarcarsi a Cagliari, erano rimasti a casa perché la loro tenerissima bambina non stava molto bene. Così, la cabina a loro riservata era stata occupata dalla baronessa Trigona di Palermo che si era sentita molto onorata. Era presenta il duca di Bergamo. La famiglia reale, ancora una volta, si presentava smembrata.

Ma i quattrocento non stavano lì per analizzare le sfumature nuove della manifestazione: erano venuti per vedere ed ascoltare Umberto. Un pellegrinaggio sentimentale, il loro. Il re prese la parola dopo aver ascoltato ancora i saluti di Rinaldo Taddei, presidente dell’Unione Monarchica Italiana, del senatore liberale Bonaldi che egli parlò a nome dei ventuno parlamentari del P.L.I. di sentimenti monarchici, del diciannovenne Gaulano, che parlò a nome del Fronte Giovanile Monarchico. Umberto II ringraziò tutti e poi dedicò le sue parole ai quattrocento: ai militari con le medaglie e le cicatrici delle ferite, alla gente umile, ai Rovenzano che si erano impegnati il televisore per fare il viaggio.

Parole dietro le quali non c’era nessuna intenzione e che dovevano arrivare al cuore di tutti: “or sono vent’anni, era mio desiderio che il mio primo atto di re fosse di riconciliazione. Non mi fu consentito. Ma ancora oggi vi ripeto: siate soprattutto fratelli. Come figli di una madre comune dobbiamo porre sopra ogni cosa l’affetto per la Patria che voi avete servito con dedizione e fede, come io stesso, anche se è molto doloroso amare da lontano”.

Il bacio alla Bandiera di Vittorio Pappalardo, nipote di un Caduto di Via Medina

Il bacio alla Bandiera di Vittorio Pappalardo, nipote di un Caduto di Via Medina

I volti dei quattrocento si rigarono di lacrime e quando il Re, porgendo alla dirigente nazionale dell’UMI, Vittorina Paoletti, il mazzo di fiori che gli era stato donato da un ragazzino, Vittorio Pappalardo, nipote di uno dei monarchici caduti a Napoli a Via Medina, disse: “tra poco passerete con la nave davanti all’isola di Minorca. In quell’isola c’è un cimitero di guerra dove riposano i marinai italiani che nel 1943 combatterono e morirono, in queste acque, per la grandezza della Patria. Vi prego di gettare a loro questi fiori”, allora echeggiò a poppa più di un singulto. Piansero le quattro vedove delle Medaglie d’Oro, Angela Martinengo, nata Lante della Rovere, Roberta Fusco, Affilia Ronci e Adriana Lazzarini e poi l’ex corazziere Cocchi Morello, il giovane alfiere Filippo Von Schlosser, il conte Francesco Garzilli, la marchesa Tina Bencini de Forcade, la baronessa Teresa Marincola, sorella di Falcone Lucifero, il deputato regionale Lippi Serra, la contessa Donini, la signora Elena Pozzi, Maria Botto Muzio, il capitano Alfredo Puccini, la contessa Maria Larussa, Beatrice Gregoracci, i conti d’Amelio, Gianfranco Alliata di Montereale, il giovane Roberto Lucifero, un monarchico appassionato di nome Mondolfo.

La fanfara dei bersaglieri intonò la Marcia Reale. Il Re accennò a muoversi dal palco, ma i quattrocento gli furono addosso. Nella confusione caddero in terra molte medaglie e mostrine. Umberto riuscì a raggiungere a fatica il salone al piano di sotto, dove volle ricevere ad uno ad uno i suoi fedelissimi.

Dino Olivieri, il conte Prunas Tola, il marchese Falcone Lucifero, ministro della Real Casa, erano preoccupati che quella folla potesse infrangere le vetrine.

Giuseppe Nozza volle entrare a tutti i costi con la bandiera sabauda che sventolava alla finestra della sua abitazione romana, sotto la quale c’è la sede di una sezione del Partito Comunista. Ci mancò poco che per l’emozione Nozza non infilzasse con la lancia della bandiera un dignitario della corte del Re.

Il vermuth del capitano

Anche gli occhioni del senatore Bonaldi furono minacciati da quella lancia. Nozza, incurante di tutto, saltò al collo di Vittorio Emanuele che dovette piegarsi i due per porgere le guance al bassissimo personaggio.

Intanto, mentre giù nel salone Taormina, i legittimisti sfilavano davanti al Sovrano,

cerimonia, quello che era avvenuto era stato una specie di cocktail per un ospite dl riguardo.

Dopo due ore di strette di mani, Umberto partì. scese la scaletta con il suo seguito e con il figlio, tra lo sventolio di bandiere, gli evviva, gli squilli della fanfara dei bersaglieri che, nonostante gli anni, continuavano a suonare correndo dietro la macchina del Sovrano che si allontanava. Poi la nave salpò e partì anche l’aereo noleggiato per l’occasione.

Dì quella crociera conservavamo il ricordo della fanfara dei bersaglieri che ogni sera, durante la traversata, suonava a poppa inni patrii; le canzoni di un’età che non avevamo vissuto, di miti che oggi sono stati sostituiti da quelli dei “Beatles”. Ricordavamo i frequenti brindisi al Re di Carlo Colonna, il suo fair play quando sul ponte della nave un giovanotto comunista gli aveva gridato sulla faccia: “Viva la Repubblica”. Ricordavamo la risposta del diciannovenne Filippo Von Schlosser, alla nostra domanda: “Ma tu perché sei monarchico?”. “Perché – ci aveva risposto – se ci fosse ancora il Re, le regioni in Italia non si farebbero certamente e perché poi, con il Re, saremmo sicuri che il comunismo non prevarrebbe”.

Il giovane Filippo ci aveva detto in soldoni, così, alla buona, questo: che per lui, in mezzo alla confusione di questi nostri tempi, dove lo Stato, come la Primula Rossa, compare e scompare, il Re rappresentava un punto fermo: la continuità della tradizione.

Del “ventennale sull’acqua” ricordavamo soltanto un momento di intensissima emozione.