Re Umberto II ed il Principe di Napoli Vittorio Emanuele, Nave Ascania, Palma di Majorca 1966
VENTENNALE SULL’ACQUA
Incontro con Umberto a Palma di Maiorca
(Articolo apparso sul settimanale “Lo specchio” del 3 Luglio 1966 a firma della giornalista Carla Pilolli)
Per la prima volta, dopo vent’anni di esilio, l’ex Sovrano si è presentato ai suoi fedelissimi come per un riavvicinamento dopo un lungo distacco.
PALMA DI MAIORCA – Dopo ore di tormentosa incertezza, dopo essersi rigirato tra le mani fino a ridurlo ” ‘na mappina” il testo del cablogramma inviatogli dal suo armatore, l’ex deputato monarchico Grimaldi, oggi espatriato, che lo esortava a ricevere con tutti gli onori a bordo della motonave italiana “Ascania” Umberto di Savoia; dopo aver confidato le sue ansie e i suoi timori, soprattutto questi, ai suoi ufficiali ed intimi di bordo, condendoli con le frasi tipiche dell’agitazione partenopea, il Capitano Giuseppe Coppola risolse il problema togliendosi la giacca.
Era in fondo una decisione suggerita dalla stagione e dal clima non certo mite di Palma di Maiorca, ma più di tutto era una soluzione all’italiana. Così, mentre sulla pedana approntata sul bordo della piscina, a poppa della nave, Umberto di Savoia veniva acclamato dai quattrocento monarchici, giunti in terra di Spagna per essere affettuosamente vicini al loro Sovrano nel Ventennale del suo esilio, il Comandante Coppola, assisteva alla cerimonia da lontano, dall’alto del ponte, cautamente mimetizzato in maniche di camicia e in pantaloni bianchi, senza insegne del suo grado, tanto che poteva quasi confondersi con il colore delle strutture della nave.
“Piccirilli”, moglie, carriera, famiglia, tutto era salvo. Perché dovrei passare ” ‘nu guaio”? – pensava forse il Capitano.
Umberto di Savoia era salito altre volte a bordo di navi italiane, ancorate nel porto di Lisbona. Era salito come un ospite qualsiasi in forma privatissima. Anche questa volta la sua visita non aveva nessun carattere di ufficialità: non gli erano stati resi onori di nessun genere, da parte dell’equipaggio, tanto meno quelli militari.
Quanto a Coppola lo aveva salutato in una saletta riservata, come si usa per gli ospiti di riguardo, dopodiché, non appena a poppa la fanfara dei bersaglieri in congedo aveva incominciato ad intonare le note della Marcia reale, lui, il Capitano, si era cavata frettolosamente la giubba. Che cosa avrebbe dovuto fare, visto che a toglierlo dall’imbarazzo non era arrivata nessuna comunicazione proibitiva da parte del Ministro della Marina Mercantile che pur doveva essere al corrente della notizia, essendo stata pubblicata dalla stampa? E dire che lui, il Capitano, fino all’ultimo momento aveva tenuto in sospeso quella cerimonia col Re a bordo dell’Ascania, facendo presente ai dirigenti monarchici che il veto di Roma poteva sempre arrivare.
Ormai era fatta ed il comandante, fatalista come tutti í napoletani, sembrava voler scacciare i pensieri da quel suo largo volto pacioso, di generoso lupo di mare. Accanto a lui se ne stavano a curiosare dall’alto del ponte alcuni croceristi dalle fattezze nordiche che, avidi di sole, erano ancora, alle cinque del pomeriggio del 24 giugno* in tenuta balneare.
Sventolio di bandiere
Gli altri, i trecento fedelissimi del Re, giunti da tutte le parti d’Italia a bordo dell’Ascania, dopo quattro giorni di navigazione ed ai quali si erano aggiunti i cento arrivati con un aereo appositamente noleggiato, erano apparecchiati come per una grande parata. Non riconoscemmo a prima vista il colonnello d’artiglieria commendator Francesco Gallo di Bologna che si era messa la bustina ed aveva il petto coperto di medaglie. Colpa di quei tre giorni in cui eravamo stati a bordo, e lui, il colonnello, come tutti gli altri, era in tenuta semi-balneare.
Erano improvvisamente divenuti dei tableaux vivants del passato, con le croci di guerra, i berretti e le medaglie, molti dei nostri compagni di crociera. E le bandiere e le bandierine tricolori, con lo stemma sabaudo, ora spuntavano da tutte le parti, nonostante che il Duca Carlo Colonna, organizzatore tra i più attivi della manifestazione, avesse rivolto, il giorno prima, la preghiera ai fedelissimi di limitare al massimo lo sventolio a poppa dei vessilli sabaudi.
Sempre per la questione delle “grane” che sarebbero potute scoppiare sulla testa del capitano. Ma non c’era stato niente da fare. Quella gente si era preparata da tempo a vivere quell’incontro con il Re ed ora che Umberto era sulla nave tutti davano libero sfogo ai sentimenti.
Le grida di “Viva il Re” si mescolavano alle lacrime delle donne, alle invocazioni: “Ritorna con noi su questa nave in Italia”. Invocazioni dettate unicamente dal cuore, fuori dalla realtà, perché dopo vent’anni di esilio, ad Umberto non poteva andare altro che questo tributo sentimentale. Un tributo che gli veniva da militari a riposo, molti dei quali a causa degli anni, avevano sentito le fatiche della traversata, da donne del popolo non più giovanissime, che mai avevano fatto una crociera e che si erano avventurate per mare, non senza un senso di sgomento. Gente che, nella maggior parte, aveva affrontato dei sacrifici finanziari per far rivivere un sentimento.
Personaggi come un tal Rovenzano imbarcatosi a Cagliari, il quale aveva portato il televisore al Monte di Pietà per raggranellare la somma necessaria al viaggio. Aveva gli abiti stracciati Rovenzano, al momento dell’imbarco e sembrava proprio che non disponesse nemmeno di un vestito adatto al grande incontro. Ma poi all’ultimo momento, con mille attenzioni, quasi per timore di sciupalo, Rovenzano trasse fuori da una borsa di plastica un vestituccio dignitoso e che comunque non stonava a confronto degli altri.
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