Per vedere il Re basta suonare il campanello
Epoca 19 Maggio 1951
Umberto ci disse: “Io qui non ho una Corte; ma solo alcuni amici che non hanno voluto abbandonarmi, che vogliono rimanermi ancora accanto”.
Cascais è l’ultimo paese della Costa del Sole, un paese di pescatori, tutto bianco e spazzato dal vento. Non è un paese mondano, un posto per il vivere dolce: senza alberghi, senza sale da gioco, vi manca persino un campo da tennis e le Principessine, due volte la settimana, per giocare a tennis devono andare a Estoril, due chilometri prima di Cascais.Cascais, maggio
La casa di Umberto, poi, è fuori del paese, sulle rocce grigie davanti all’Oceano. È una casa qualunque, a due piani, con una magra fascia di giardino intorno e i rampicanti che salgono per i piloni della loggia. Li piantò il Re nei primi tempi dell’esilio, i rampicanti, e Umberto adesso li vede crescere, di anno in anno, di stagione in stagione, man mano che passano gli anni nella casa di Cascais.
Non è vero che un poliziotto portoghese vigili giorno e notte all’ingresso di Villa Italia. Forse c’era due o tre anni fa e lo stesso Umberto, probabilmente, non era riuscito a evitarne la presenza. (Umberto e Jolanda, si sa, non poterono mai sopportare i poliziotti, i carabinieri in borghese, quelle tali figure piuttosto tristi che camminano a venti passi dai personaggi, sempre, di continuo, fors’anche nei sogni.) Ma adesso il poliziotto non c’è più, il cancello della Villa è sempre aperto e per vedere il Re basta suonare il campanello di fianco alla piccola porta.
Può darsi che il personale di servizio, credendo di far bene, dica all’improvviso visitatore che Umberto lavora, che è occupato con le Principessine, cose del genere; ma quasi subito, allora, si sente un passo discendere in fretta la scala di legno e lui stesso appare in anticamera, sorridente, cordiale, quasi espansivo.
Chi c’è, intorno a lui, nell’esilio di Cascais? Sono pochissime persone, si contano sulle dita delle mani. « Per carità » ci disse Umberto una sera « sia ben chiaro che io, qui, non ho una corte : si tratta solo di alcuni amici che non hanno voluto abbandonarmi, che vogliono rimanermi ancora accanto. »
Ecco gli amici : Il generale Carlo Graziani, marchese di Borgo S. Sepolcro, pioniere dell’aviazione, Mastro delle cerimonie al Quirinale nell’ultimo mese di Regno. Si ricorda dell’ultima cena che Umberto diede alla Corte Nobile, al Quirinale, prima di partire per il Portogallo.
In quei giorni biglietti e messaggeri andavano dalla reggia al Viminale e dal Viminale alla reggia. In quei giorni gli italiani si picchiavano di santa ragione, a Napoli c’era del sangue e nello stesso Quirinale già si sentiva che il regno era ai suoi ultimi giorni. Allora il Re chiamò il generale Graziani, gli sorrise e disse: «Vorrei salutare la Corte Nobile stasera, a pranzo. Vuol diramare gli inviti? ».
Graziani vive in una modestissima casa nell’interno del paese e si reca a Villa Italia ogni giorno in bicicletta. Ha una bicicletta tutta lucida e bella, con un grosso campanello. Non gli è rimasto altro. È un uomo piccolo, vivace, insofferente e nel suo studio tiene accanto a sé il Crocifisso e i nastrini delle decorazioni che erano sulla giubba del vecchio Re, quella giubba corta e antiquata che però lo vestiva molto, gli andava bene. Poi ha il tavolo pieno di medaglie, ritrattini, spille, fermacarte, sigilli, ciondoli, libriccini gialli di secoli e parlando tocca tutte queste cose, di continuo, come un pianista alle prese con una tastiera disciolta e sparsa, la tastiera di tutte le cose che il generale Graziani ha vedute, vissute, accompagnate, da quel Re che non rideva mai al Re che sa ridere sempre.
Poi c’è il professor Aldo Castellani, senatore, insigne studioso di malattie tropicali, ormai tutto bianco di capelli. È il medico personale del Re, ma alza le spalle : « Io non faccio niente perché Umberto scoppia di salute». Il colonnello Giberti, milanese, ex ufficiale d’ordinanza del Sovrano quando questi era Principe di Piemonte, è a Cascais soltanto per qualche mese, in servizio volontario. In servizio di nostalgia, anche. A Milano ha una bella casa, dirige un’industria, e di domenica va sui laghi.
Ma un giorno scrisse a Umberto, che lo prendesse ancora con sé, per qualche mese. Adesso s’inchina al Re e talvolta gli scappa un gesto con la mano, il gesto del capitano di tanti anni fa, per aggiustarsi – attraverso il petto – la splendente sciarpa azzurra. E trova soltanto una cravatta scura e molto seria, oggi.
Il capitano Castellani, dei Carabinieri, sarebbe il segretario particolare del Re. Ma lo si trova dappertutto, bonario e fanciullesco, in anticamera quando ci sono udienze, con le Principessine a giocare, a teatro con Umberto. È lui che riceve la posta e la porta al Re, è lui che se la vede coi cesti di peperoni che arrivano da Voghera, le torte di Siena, gli asparagi, le fragole, il « Sangue di Giuda » di Broni e le mozzarelle di Frosinone.
Ci sono ancora la marchesa Maria Luisa Pallavicino, dama di compagnia delle Principessine, Miss Alice Smith, pure addetta alle figlie di Umberto, il domestico Trigatti (« ma al Quirinale ero staffiere ») e il cavalier Turconi, cameriere.
Il mondo di Umberto, a Cascais, è tutto qui. È un piccolo mondo pieno di bandierine, di medaglie al valore, di cortesia. È anche la rappresentazione, su un piccolo palcoscenico di paese, dell’Italia seria solida e pur romantica di nostro padre. Quell’Italia che è stata frettolosamente mandata nella soffitta di Cascais.
di Nando Sampietro