Pubblichiamo questa intervista con commozione. Come sempre è avvenuto negli ultimi anni il ritrovamento, fortuito, in mezzo ad una catasta di riviste in un mercatino era stato motivo di grande gioia, che era stata amplificata dal poterla condividere con il Nostro Camillo Zuccoli a cui subito era stata inoltrata. Primo tra tutti a fare suo il nostro entusiasmo.
A Camillo dedichiamo questa pagina del sito del Re, certi che dal Paradiso esprimerà, come sempre, tanta soddisfazione.
Visto 16 giugno 1957
PERCHÉ DA “VILLA ITALIA” NON SI RISPONDE MAI ALLA STAMPA AMAREZZE DI UMBERTO
Il Re in esilio evita di parlare di sé e di raccogliere apprezzamenti politici. Ma durante Un cordiale colloquio con la nostra Collaboratrice Umberto di Savoia ha espresso con accoramento la sua irritazione per certi recenti articoli di giornali italiani. “Attacchino la Monarchia – ha detto – è questione di idee, o me, ma la Regina e le Principesse meriterebbero di essere lasciate tranquille”. Di fronte a pubblicazioni malevoli e destituite di fondamento egli non crede alla utilità di sue smentite che oltre tutto arriverebbero tardi.
Cascais, giugno
Estoril dista soltanto due chilometri da Cascais e ho tutto il tempo per raggiungere a piedi ’’Villa Italia” dove, alle sette del pomeriggio, mi è stato fissato l’appuntamento con Umberto di Savoia.
Alla Villa di Cascais che già nel nome si afferma lembo della indimenticata patria lontana, Umberto di Savoia riceve quasi ogni giorno visite di italiani che vanno a rendergli omaggio. Sono spesso tecnici e lavoratori che fanno sosta in Portogallo prima di varcare l’oceano o ritornano in vacanza dalle terre della loro emigrazione Pur nel rigoroso riserbo del suo esilio, Re Umberto mostra di essere al corrente della vita italiana e si interessa a tutto ciò che non riguarda la politica, ma il lavoro, l’arte, la salute della sua gente. Dalle domande che fa agli ospiti non trapela nessuna confessione: si direbbe murato in una malinconia che non ammette interferenze.
La strada promette visioni di bellezza e il cammino è propizio ai pensieri. A sinistra, contributo del Tago al mare, una striscia gialla, bordata di un merletto di spuma taglia l’azzurro dell’Atlantico; a destra, sul muro di cinta di ogni villa, matasse di rose ’’bella portoghese”, grandi come peonie e pesanti come mercanzie, si sfaldano sotto il profumo dei rhincosperna nascosti. Nella luce accecante di questa costa ogni contorno è nitido, ogni cosa si staglia con crudeltà sul cielo di cristallo. Ciuffi di ginestre, ad altezza di alberi, segnano lo spazio tra una villa e l’altra e mi accompagnano fino a Cascais dove, infine, domando la via per raggiungere ’’Villa Italia” ad alcuni pescatori seduti accanto alle barche in secca nel porticciolo.
Quando sono arrivata a Estoril, il Re era a Fatima, la Lourdes portoghese, e ho aspettato il suo ritorno spigolando notizie tra le persone che lo avvicinano di più. Le notizie sono sempre le stesse: la vita, a ’’Villa Italia”, trascorre semplicemente, nel silenzio. Inaugurazioni di mostre d’arte, concerti, pranzi intimi e battesimi che proiettano nel mondo dei redenti dal peccato originale bambini che si chiamano Elena, Vittorio e Maria Pia, portano Umberto fuori da “Villa Italia” quando non riceve frotte di italiani che arrivano fino in questo Paese lontano soltanto per salutarlo. Il mare è la sua grande passione, tanto che vorrebbe costruire la sua casa qui, e per fare i bagni ha scelto una spiaggia selvaggia a nord di Cascais, piena di correnti in agguato e solitaria. A Lisbona, distante venticinque chilometri dalla sua villa, il Re si vede poco e le signore della società portoghese lo incontrano raramente a qualche pranzo.
Una signora di Lisbona racconta che, essendosi scusata con lui qualche giorno dopo una colazione a ’’Villa Italia”, dove era andata senza cappello, il re, per toglierla d’imbarazzo, le ha domandato stupito: « Ma perché, le altre signore ne avevano uno? ».
I suoi viaggi lo conducono, generalmente, verso le città dove risiedono persone della sua famiglia, ma la maggior parte del tempo la passa in Portogallo, frequentando pochi amici intimi tra i quali i conti di Barcellona, pretendenti al trono di Spagna, e la marchesa de Cavadal che ospitò i Savoia durante il primo periodo dell’esilio.
Ed eccomi, finalmente, a ’’Villa Italia”: a fior di pelle sulla strada, di fronte al mare, piccola, modesta, con un balcone ricoperto di rampicanti che il Re ha fatto piantare.
Dice: “Noi italiani”
Nell’interno, dove sono arrivata qualche minuto prima dell’ora convenuta, mi metto a sfogliare l’album posto in anticamera a disposizione dei visitatori. Da lontano, mentre il capitano Castellani mi esorta a non rivolgere al ’’Signore” domande che abbiano riferimenti politici, a rompere il silenzio, fresca come il suono di una campanella, giunse la risata della piccola principessa Maria Beatrice. Poi di nuovo il silenzio si ricompone e, nell’assenza di voci e di rumori che incomincia a turbarmi come se fossi arrivata in una casa deserta, si apre la porta dello studio di Umberto di Savoia e mi trovo quasi disorientata, tanto il suo sorriso è amabile.
«Come sta?» mi domanda il Re.
«Sto benissimo», gli dico, ma guardo lui, dimagrito e visibilmente pallido sotto la leggera abbronzatura. Non oso dirgli quello che penso e sarebbe inutile, del resto, poiché si ha subito la sensazione che non dia peso alla sua persona. Immediatamente vi trascina nel vostro mondo, facendovi parlare di voi, del vostro lavoro, delle vostre ambizioni, dei vostri dispiaceri e dei vostri amici e tutto sembra assumere un interesse particolare ai suoi occhi, poiché vi ascolta attentamente, rivolgendovi di tanto in tanto domande precise. In questa, che è soltanto una conversazione, nomi di amici ritornano a ricordare un tempo perduto.
Parla anche di Anna Magnani, dicendo d’essere stato felice del grande riconoscimento che ha avuto, felice per l’Italia, per lei e per suo figlio. «E’ un Oscar ben meritato. Tutti noi italiani siamo stati molto fieri di lei e le ho telegrafato per dirglielo. L’ho incontrata mentre era di passaggio qui per andare in America e la sua conversazione brillante mi ha rallegrato».
Dice spesso “noi italiani”, quasi che pronunciare queste parole con un connazionale gli dia un grande sollievo.
«Le mie figliole mi avevano parlato di lei» mi dice a un tratto. Le avevo, infatti, incontrate alla sfilata di modelli italiani a Estoril, ma non credevo che si sarebbero ricordate di quell’incontro. «Le mie figliole mi raccontano tutto» dice con l’incrinatura di tenerezza che ha sempre nella voce quando parla delle Principesse.
Il tempo passa e io non ho ancora potuto rivolgergli nessuna domanda. Le elude tutte con estrema cortesia, ma anche con abilità, fino a che mi accorgo che mi sto perdendo nel suo riserbo e che sto cadendo nel grave errore di dover scrivere soltanto quello che ho detto io, quando rivedrò le mie note. Azzardo qualche domanda che il Re storna subito e quando incomincio a parlare di affari italiani, debbo smettere perché lui mi ascolta come se stessi parlando della guerra dei Cent’anni.
Di nuovo la conversazione è dominata dal Re il quale s’informa minutamente dei cambiamenti che si sono operati in Roma e, mentre parla di certe strade e di chiese che ama, guardo l’estrema eleganza dei rari gesti con i quali sottolinea alcune frasi. Il cinema italiano lo interessa molto e mi ripete i discorsi fatti con attori che ha incontrato recentemente. Segue la nostra produzione, raggiungendo cinematografi qua e là, in giro per il Portogallo, e di attori e di film dà un giudizio pacato e sicuro.
Quando gli domando notizie dei figli il suo sorriso si distende. Il principe Vittorio Emanuele – che completa i suoi studi liceali a Losanna – è atteso a Cascais dove passerà le vacanze con il padre e con le sorelle. Le Principesse Maria Gabriella e Maria Beatrice (Ella e Titti, in famiglia) crescono bene, studiano e andranno presto a dare i loro esami a Madrid.
Mentre guardo i numerosi libri disposti negli scaffali che sono intorno alle pareti, il Re precede la mia domanda e mi dice che legge molto. Segue anche tutti i giornali italiani, conosce ogni giornalista, ogni scrittore e di tutti mi domanda qualche notizia e di ognuno parla con competenza e con rispetto della sua attività.
«Come vanno i giornali?» mi domanda all’improvviso. In verità so soltanto come vanno quelli in cui lavoro, ma il discorso sulla stampa lo fa improvvisamente uscire dagli stretti limiti che avevo accettato, ormai, senza speranza. E, alterando leggermente la voce, mentre la sua posizione abbandonata prende qualche rigidità, mi dice:
Maria Pia ne ha sofferto.
«Un settimanale milanese ha scritto che Maria Pia avrebbe detto al telefono a qualcuno, senza pertanto dire chi fosse questo “qualcuno”, che non vuole avere figli. Lo avrebbe detto, insomma, al telefono e a uno sconosciuto. Immagina lei una ragazza italiana, bene educata, che faccia confessioni d’indole tanto delicata, al telefono e a uno sconosciuto, per giunta? Perché, già, lo avrebbe detto a uno sconosciuto al telefono – ripete -. La verità è che Maria Pia aspettava un bambino il quale, sfortunatamente, non è più nato. Da allora mia figlia prega sempre Iddio di averne un altro. Non può immaginare quanto abbia sofferto Maria Pia di questa perdita e quanto lungamente abbiamo dovuto consolarla. Più tardi ho dovuto consolarla ancora, e lungamente, dell’acredine con la quale questo settimanale ha parlato di lei. Ma perché tanta cattiveria? E pensi che, generalmente, ci viene da gente che arriva fin qui a fare molti inchini. Occorrerebbero meno inchini e più umanità. Quando attaccano me, pazienza! Ma perché prendersela con le mie figlie? Lo stesso giornale ha scritto anche un articolo contro la Regina, la quale, come lei sa, è costretta a vivere lontana da Cascais dove la sua vista, già debole, sarebbe continuamente offesa dalla luce. Ma quale vita dovrebbe condurre una Regina in esilio più degna di quella che conduce Maria José? Attacchino la monarchia: è questione di idee, o me, ma la Regina e le Principesse meriterebbero di essere lasciate tranquille ».
Si passa una mano sulla faccia e continua: «Quando leggo un articolo contro di loro ne soffro. Soprattutto per le bambine che non possono capire la ragione di tanta avversione. Sono così lontane, così innocenti… ».
Dopo un breve silenzio, l’unico, durante il nostro colloquio, domando al re: « Ma vige ancora la vecchia usanza secondo la quale un sovrano non deve rispondere mai alla stampa? Non si possono fare smentite, specialmente in un caso delicato come quello che riguardava la principessa Maria Pia? ».
« Non so, non so » mi risponde Umberto di Savoia ancora visibilmente turbato. « Si potrebbe rispondere, ma passano troppi giorni e la risposta arriverebbe tardi e più che tardi inutile!… ».
Nemici e amici sembrano d’accordo per dargli amarezze o – per irritarlo, ma di altre cose parla di nuovo pacatamente e di un servizio giornalistico, offerto a un giornale da persona che per lungo tempo, a causa del suo lavoro, ha vissuto nell’intimità dei Savoia, ha detto semplicemente: « Non è stato un gesto felice ». Ma già il discorso ha preso una piega diversa e nelle parole di Umberto di Savoia passano Estoril, la Costa del Sole (che non ha davvero usurpato il suo nome) e la sfacciata bellezza di queste rive silenziose e sdegnose. E mentre parla con affetto di questa terra, dinanzi ai miei occhi, in rapida successione, passano i suoi mille giardini e i prati, così fìtti di fiori da sembrare ricamati a ’’piccolo punto”.
«E’ tutto molto bello, qui, indubbiamente, ma domani mi trasferisco a Lisbona » dico io. «Perchè? – mi domanda il Re. – Questa terra è bellissima. Non ama il vento che la sera passa su questa costa?».
Non amo il vento quando sono sola. E gli rispondo che, in realtà, Estoril è troppo triste. La sera cade molto tardi e la luce agonizzante in questo cielo mi dà uno strano malessere, di persona che vorrebbe, ma non sa consolarla. Parlo concitatamente, con la libertà che il Re consente, riassumendo quello che provo da giorni, ma, quando alzo gli occhi a guardarlo, mi pento subito di quanto ho detto.
E’ già sera. Le finestre sbadigliano luce nei giardini e so che adesso tutta la terra sospira, qui intorno, e che l’oceano si prepara all’eterna battaglia con gli scogli.
« Ora che ha imparato la strada del Portogallo, torni a trovarci » mi dice il Re quando mi alzo, impedendomi di chinarmi nel saluto imposto dal protocollo.
Ma la strada del Portogallo, stasera, mi sembra alla fine del mondo.
Egle Monti