Infermiera sul Cesarea
In Italia Maria José trovò un’atmosfera di entusiasmo patriottico.
Le sanzioni economiche votate contro il nostro Paese, abilmente sfruttate dalla propaganda fascista, avevano fatto diventare popolare quella guerra di conquista. Molti oppositori del fascismo, che per anni si erano tenuti in disparte, avevano abbandonato gli scrupoli morali e manifestavano la loro adesione.
Sono le guerre che si è sicuri di vincere le più popolari, non quelle che si perdono. Comunque vi erano dei giovani che in Etiopia sacrificavano la vita; molti erano i feriti e molti gli infermi colpiti dalle malattie tropicali. Insignita del diploma di crocerossina sin dai primi tempi del suo arrivo a Napoli, Maria José non poteva esimersi, quali che fossero le sue idee politiche, dall’adempiere a quella missione umanitaria che la sua qualità di infermiera e il suo rango di principessa reale le imponevano. Si imbarcò volontaria sulla nave ospeda-le Cesarea. Il 9 maggio 1936, quando gli altoparlanti di bordo diffusero lo squillante annuncio di Mussolini che proclamava l’impero, anche lei, in quell’ora di euforia e di vittoria, cadde nell’illusione che un’era di prosperità, di pace duratura e di grandezza incominciasse per l’Italia.
Un nuovo periodo di armonia domestica, di affettuosa intesa con Umberto succedette alle settimane che Maria José aveva trascorse lontano da lui, a bordo del Cesarea.
Maria Pia, che era una bimbetta di venti mesi, presto avrebbe avuto un fratellino. Tutte le più grandi speranze apparivano realizzabili, in quel maggio 1936, alla principessa che attendeva un altro figlio. « Questa volta ero sicura che sarebbe stato un maschio», dice la Regina.
L’annuncio della seconda maternità della principessa di Piemonte, dato pubblicamente al quinto mese come è l’uso delle corti, suscitò in Italia un’attesa ansiosa, come era accaduto nei mesi che avevano preceduto la nascita di Maria Pia.
L’erede che si aspettava sarebbe stato “il Principe dell’Impero”. Fu grande l’esultanza popolare quando, alle 14,30 del 12 febbraio 1937, cento uno colpi di cannone annunciarono che un erede diretto era assicurato alla dinastia; in pochi minuti, Napoli si coprì di bandiere. Il battesimo avvenne in gran pompa a Roma, al Quirinale. La nascita di Vittorio Emanuele metteva un termine alla impazienza che, per sette anni, avevano manifestato i nonni. Nel corso di quei sette anni varie volte i sovrani avevano espresso a Maria José, più o meno apertamente, la loro insoddisfazione per la lunga attesa di un erede.
Maria José, quando le si chiede quali fossero i suoi rapporti con la famiglia di Umberto, non fa la minima allusione che possa far pensare a dissapori di qualsiasi genere. I segreti familiari rimangono segreti. Vittorio Emanuele III era autoritario con tutti. Diventava inflessibile e si chiudeva nel più impenetrabile silenzio quando si sfioravano questioni politiche o dinastiche. Con il vecchio Re Maria José deve aver tentato, nel corso di quelle conversazioni culturali che nuora e suocero facevano, di manifestare con cautela le proprie idee in materia. «Con il Re si può parlare», disse una volta a una persona amica. Erano quelli i primi tempi della sua vita in Italia, poi non lo disse più. Vittorio Emanuele III era troppo geloso del suo ’’lavoro” di Re e delle sue prerogative per ammettere che certe ingerenze fossero legittime o che altri potesse manifestare sui suoi orientamenti di monarca e sulle decisioni che impegnavano il destino della dinastia sabauda preoccupazioni di cui egli si riserbava l’esclusiva. Quanto ad Elena, esemplare madre di famiglia, non faceva alcuna differenza tra Maria José e le figlie. A colei che era destinata a succederle come Regina d’Italia voleva dare ammaestramenti che a volte forse Maria José, spirito indipendente, non era incline ad accogliere con docilità Delle cognate, quella con cui Maria José andava più d’accordo era Mafalda; a lei talvolta apriva fiduciosamente il suo animo. Quando abitava a Torino, vedeva molto spesso Jolanda; in seguito, Giovanna e Mafalda, amiche dell’adolescenza, che avevano press’a poco la sua età. divennero le persone di famiglia a lei più vicine dal punto di vista affettivo. Da Maria, giovanissima, la separava la differenza di età, ma a lei la univa l’amore per la musica.
Il luogo dove Maria José trovava riuniti ogni anno i parenti Savoia era San Rossore, nell’epoca delle vacanze estive. Benché nel resto dell’anno i principi di Piemonte si recassero sovente a Roma, nella capitale essi alloggiavano al Quirinale e non a villa Savoia, che era la residenza dei sovrani; praticamente perciò facevano vita separata. A San Rossore invece l’unità familiare si ricomponeva.
Maria José, Umberto e i loro bimbi terminavano i bagni ai primi di agosto e da villa Rosebery (ribattezzata villa Maria Pia) si recavano a Sarre in vai d’Aosta; di qui, ai primi di settembre, andavano per alcuni giorni a San Rossore,dove veniva festeggiato il compleanno di Umberto. Spesso c’era anche la madre di Maria José, la Regina Elisabetta. Gustosi episodi possono venire riferiti sulle vacanze a San Rossore. Nel 1934, i principi portarono con loro anche Alfonso. Il fedelissimo di Posillipo divenne per la famiglia reale ’’l’uomo del giorno”.
«Finalmente abbiamo avuto il piacere di conoscere quest’Alfonso», gli disse la Regina Elena la prima volta che lo vide: «Vi credevo più alto, invece siete piccolino», Alfonso rise e la Regina si accorse che gli mancavano due denti. «Quando tornerete a Napoli, vi presenterete al medico di Palazzo Reale e ve li farete rimettere a mie spese». La presenza di Alfonso sulla spiaggia di San Rossore invogliò eccezionalmente Vittorio Emanuele III a riprendere i bagni di mare. «Sono diciotto anni che non ne faccio, ma domani faccio il bagno con voi», gli disse il Re. Dalla palazzina reale, attraverso il parco, si arrivava alla spiaggia in bicicletta. Lì c’erano le cabine con tutto l’occorrente per il bagno.
«Alfonso, il costume», disse l’indomani il Re, fermo nel suo proposito. «Maestà, e dove lo piglio?», rispose il marinaio. «Vai alla palazzina e fattelo dare dal maestro di casa », ordinò Vittorio Emanuele più che mai deciso a fare il bagno. Ma il maestro di casa cascava dalle nuvole: «E quando mai Sua Maestà ha avuto un costume?». Finalmente, rovistando in tutti gli armadi, si trovò un costume del 1900, lungo fino al ginocchio, con le mezze maniche. Il Re, quando lo vide, scosse il capo e rinunciò al suo bagno.
La pizza napoletana
A San Rossore, in una “Balilla” regalatale da Elena, la madre di Maria José prese le prime lezioni di guida, andando velocissima a zigzag.
Una descrizione della vita domestica dei Savoia ci è stata fatta dalla principessa Maria di Borbone – Parma. La più giovane sorella di Umberto abita, com’è noto, a Cannes. ma tutti gli anni, in autunno, viene a trascorrere alcune settimane a Parigi. Scende in un albergo del boulevard Raspai, frequentato di solito da diplomatici. È lì che recentemente mi ha ricevuto. Prima si è parlato di Maria José. «Per me e le mie sorelle», diceva la principessa, «la presenza di mia cognata tra noi non rappresentava niente di nuovo. Eravamo già amiche molto tempo prima, che sposasse Umberto. Quand’era signorina era venuta diverse volte, coi suoi genitori o con uno dei suoi due fratelli, a San Rossore per le vacanze. Lei ed io facevamo musica insieme; suonavamo a quattro mani Beethoven e Mozart. Maria José suona benissimo, da vera artista. Le bastava leggere una volta un pezzo difficilissimo, Chopin, Brahms e la volta seguente lo eseguiva a memoria. Ho fatto dei viaggi con Maria José e con mio fratello. Una volta siamo andati in Egitto. Era un piacere viaggiare con lei. Voleva vedere tutto. Diverse volte sono stata ospite loro, a Napoli. Ma le date fisse in cui ci vedevamo erano: il giorno di Sant’Elena, onomastico di mia madre, .18 agosto, a Sant’Anna di Valdieri; il compleanno di Umberto. 15 settembre, a San Rossore; e il Natale, a villa Savoia. A San Rossore, la tenuta è così vasta che nei periodi in cui c’eravamo tutti, i figli, i nipoti, i cugini, gli amici, ognuno poteva fare quello che voleva. Mio padre si alzava alle 4, faceva una lunga passeggiata sulla spiaggia con uno dei guardiacaccia, poi lavorava nel suo studio sino a mezzogiorno; si pranzava, ritornava a lavorare sino alle 4 e dopo usciva a caccia o a pesca. La mamma, di mattina prestissimo, andava a pesca. Poi anche lei lavorava nel suo studio sino alle quattro del pomeriggio. C’erano dei giorni, però, in cui cucinava i suoi piatti preferiti. Dovunque fosse, a villa Savoia, a Sant’Anna, a San Rossore, faceva installare in una stanza del suo appartamento un fornelletto elettrico ed era 13, sola sola, che preparava i suoi manicaretti: a San Rossore i funghi, a Sant’Anna le trote; una volta assegnò a ciascuna di noi un tema di cucina e facemmo, sul suo fornello elettrico, un pranzo intero. Anche Maria José fece il suo piatto».
Ora, rarissime volte, a Merlinge, Maria José ha il tempo di scendere in cucina. «Non so se sarei più capace di fare i piatti che mi ha insegnati Elena», ha detto; «è tanto tempo che non ci riprovo. Ma la ricetta della pizza napoletana non l’ho dimenticata. Una volta, per partecipare a uno di quei concorsi che organizzava mia suocera, misi tanta buona volontà nell’imparare i diversi modi di cucinare il risotto che per circa un mese, a villa Maria Pia, si continuò a mangiare risotto a pranzo e a cena. Mio marito non ne poteva più».