La questione sociale e la difesa dei diritti delle minoranze furono preoccupazione costante della Monarchia fin dagli albori dell’Unità
CANNES, 10 Febbraio 1953
Lo scorso anno nelle grandi città d’Italia sono apparsi vistosi manifesti commemorativi del-la fondazione del Partito socialista italiano, avvenuta a Genova alla fine di agosto del 1892 alla sala Sivori nel fragore di invettive e contumelie generate dall’antagonismo fra operai e intellettuali, fra marxisti e seguaci dell’anarchico Bakunin. Ne conseguì una immediata rottura con divisione delle parti contendenti ognuna delle quali continuò il congresso per proprio conto in locali separati. Pochi però ricordano un avvenimento di importanza eccezionale, precedente di alcune settimane la confusa adunata di Genova: la visita di Giolitti all’Associazione Generale degli Operai di Torino il 18 luglio dello stesso anno, – or sono 60 anni – per portare la solidarietà della Monarchia alle classi operaie nella questione sociale allora nascente. L’avvenimento, che mi è parso tanto interessante, mi ha indotto ad intervistare Umberto II.
Quando vengo introdotto nello studio di Sua Maestà sono commosso e il mio pensiero rievoca il mattino di quel 12 giugno 1946 quando in mezzo alla, folla riunita nel cortile del Quirinale attendevo di rivolgere al Sovrano in partenza per l’esilio l’ultimo saluto. Entriamo subito nel tema dell’intervista e tutta la ponderosa questione sociale dal 1860 in poi è stata esaminata, in certi punti sfiorata ed in altri trattata anche nei minuti particolari.
E’ stato proprio Umberto II ad accennare per primo alla situazione dei lavoratori delle zolfatare prima dell’annessione.
UMBERTO: «Le condizioni raccapriccianti e gli orrori dei lavori nelle zolfatare della Sicilia furono trovati dalla Monarchia e fu la Monarchia, ad eliminarli ».
(Le parole del Sovrano non hanno bisogno di documentazione alcuna: nei tumulti dei Fasci specialmente quelli della campagna, la folla avanzava minacciosa portando in testa i ritratti del Re e della Regina che chiamavano a protezione dei loro diritti non contro lo Stato ma contro le usurpazioni dei gabellotti e dei prepotenti, contro gli abusi e le malversazioni comunali radicate da secoli).
UMBERTO: «Gli operai erano angariati dall’usura che falciava il salario dovendo pagare interessi che alle volte, secondo il Colajanni, salivano anche al 240 per cento. Fanciulle costrette ad un lavoro di abbrutimento che quando si esercitava fuori della miniera arrivava anche a 12 ore, per una mercede che variava dai 40 ai 60 centesimi al giorno, portando carichi superiori alle loro possibilità».
(Ma il miglioramento – lo proclamò lo stesso on. De Felice dal carcere – “non poteva venire che da una lenta trasformazione sociale”. E la Monarchia operò il miracolo. Infatti le prime leggi sul lavoro dei minorenni nelle miniere sono del 1873, emanate allo scopo di regolare l’età e la giornata di lavoro dei fanciulli; poi vennero i primi provvedimenti per l’istruzione pubblica intesi a rompere la norma allora vigente, e cioè che le popolazioni più sono ignoranti e meglio si governano).
UMBERTO. «Con l’Unità inizia l’affannosa ricerca delle norme giuridiche per l’unificazione della legislazione a sfondo sociale, ossia di quanto ha per campo di studio le reali necessità della vita. Insomma si fece di tutto per distruggere i privilegi e perché tasse e leggi fossero applicate con misure di equità e giustizia, laddove regnava il sopruso dei gabellotti e del partito al potere, soprusi che gravavano soltanto sui deboli. La Monarchia dunque ha sempre difeso, per quanto fu nelle sue possibilità, i diritti dei poveri. Il progresso agricolo ed industriale in Italia coincide con le agitazioni operaie. Infatti i primi scioperi ebbero inizio nel 1871: all’alba dell’Unità nazionale la Monarchia aveva già aperto la valvola di sicurezza che porterà alla soluzione della questione sociale».
«Bisogna tener presente le tristi condizioni in cui si trovava l’Italia in quell’epoca e le difficoltà incontrate per la unificazione dei 7 stati con relativi problemi di saldatura politica, legislativa, militare, morale, sentimentale e tributaria. Dover fugare le superstizioni nelle quali erano strette le mentalità di certe popolazioni ancora tutte imbevute dai residui della concezione atomistica delle antiche Signorie; dover vincere l’ostilità alle macchine da una parte, l’ostilità borghese all’aumento dei salari dall’altra; dover fare di moltitudini varie una moltitudine sola.
« Tutto era da rifare: distruggere il privilegio terriero – come nella campagna romana – della mano-morta; dal medioevale « diritto del più forte » detenuto e strenuamente difeso dai feudatari, bisognava passare alla tutela giuridica dei bisogni nascenti dei diseredati, in un paese estremamente povero, percosso per secoli dall’abbandono, corroso dalla lebbra delle invasioni straniere fra carestie e pestilenze, senza risorse finanziarie, al solo rullo dei tamburi sardi e fra lo squillare della diana garibaldina.
Bisognava creare un esercito con popolazioni che alle volte si sentivano estranee le une alle altre. E ancora la urgente necessità di stipulare trattati di commercio con le
grandi nazioni del mondo timorose e incredule sulla nostra vitalità. Non parliamo delle tristissime condizioni finanziarie, del baratro che minacciava il bilancio nazionale il quale dovrà attendere fino al 1898 per trovare faticosamente il pareggio che a sua volta preparerà il cospicuo avanzo del 1912. E questo grazie allo svolgimento degli ordinamenti liberali ereditati dal Parlamento Subalpino e da cui uscirà più tardi la meravigliosa azione redentrice d’Italia. Tuttavia non bisogna dimenticare che pur frammezzo a difficoltà inaudite si apriva nel 1871 il traforo del Fréjus, capolavoro dell’ingegneria e delle maestranze operaie italiane, seguito nel 1882 da quello del Gottardo».
(Chi è nato prima del 1890 ricorda nei più remoti villaggi il rifiorire delle famose società di mutuo soccorso che, dopo essersi sottratte al loro contenuto religioso, assunsero dapprima un aspetto unicamente mutualistico, ma poi si andò rapidamente sviluppando la loro trasformazione – iniziatasi già verso 1860 in Associazioni Operaie a tipo moderno, cioè con carattere di resistenza. In una memoria del 1884 sull’Associazione Generale degli operai di Torino si legge: “Il defunto Sovrano, Vittorio Emanuele II era stato per gli operai torinesi un vecchio amico ed un largo benefattore”.)
UMBERTO: « Mediante l’arma dello sciopero le associazioni operaie sono dominate dalla contesa con la classe padronale per la ripartizione della ricchezza alla cui, produzione concorre in gran parte la classe operaia: esse ottengono così, con l’intervento dello Stato in loro favore le prime leggi sociali che dovranno costruire le prime fondamenta al futuro Codice del lavoro, mentre via via subiscono una trasformazione e diventano le attuali Camere del lavoro. Enormi le difficoltà incontrate. La miseria era dovunque. Miseria, pellagra e malaria: in Sicilia, in Calabria, in Basilicata e nel napoletano. In Toscana, dice Pasquale Villari, si vedevano i bimbi d’inverno uscire dall’abitato per andare a mangiare l’erba dei campi! Nel 1870 la campagna romana appariva simile ad una regione desolata come ai tempi della Repubblica e dell’Impero, con le sue 80.000 trecciaiuole che lavoravano la paglia per un salario che scendeva fino a 20 centesimi al giorno! ».
(Il rilievo del Sovrano è storicamente esatto: se oggi abitare in una grotta dell’Agro costituisce una rarissima eccezione per l’eredità avuta, nel 1870 costituiva una regola poiché quando il contadino non dormiva nelle grotte era costretto nelle capanne di paglia o di sterpi. La miseria dell’Agro romano se fu descritta dai poeti alla ricerca di colore, trovò anche il suo redentore, il piemontese Giovanni Cena che nelle continue peregrinazioni e nelle doloranti invocazioni chiedeva case e scuole. E case e scuole e colonie agricole furono costruite, mentre con gli scassi il terreno arido e brullo ed abbandonato da secoli venne trasformato in campi dove biondeggiano ora rigogliose le spighe di grano. Quando nel 1880 si costituivano le prime cooperative fra braccianti romagnoli emersero quelle dei repubblicani Armuzzi e Bazzini che assunsero lavori in Agro pontino ed intrapresero la bonifica degli stagni di Ostia e di Maccarese; Umberto I versò in più riprese somme cospicue onde sopperire alle passività delle prime gestioni, così come aveva aiutato finanziariamente la cooperativa fra i tipografi romani diretta dal repubblicano Caramitti. Va ricordato l’intervento ai funerali dei Sovrano di questi due dirigenti che assieme al socialista pure romagnolo Nullo Baldini portarono una corona di fiori in riconoscenza dei benefici avuti in momenti difficili).
UMBERTO: «L’attività dello Stato monarchico è sempre stata tesa ad una migliore distribuzione della ricchezza e ad una più equa giustizia sociale. E furono proprio elementi conservatori ligi alla Corona a mettere per primi il dito sulla piaga delle miserie delle classi lavoratrici: già con Marco Minghetti, uomo di destra che per un lungo periodo influenzò la politica italiana, e poi con Mosso, Gaetano Mosca, Rudinì, De Seta, Ricca Salerno Pitrè, Giustino Fortunato, Jacini, Pasquale Villari, Sonnino e Franchetti, celebrati per le inchieste e le indagini sui grandi problemi economici e sociali. Furono questi rappresentanti della borghesia che, preoccupati delle sproporzioni economiche sorte dalla contrapposizione delle classi sociali, spiegarono che la protezione alle classi lavoratrici avrebbe avuto grande ripercussione sullo sviluppo di una nuova borghesia, la borghesia del lavoro, consacrando nello stesso tempo un principio umano per eccellenza: crescere le paghe e diminuire le ore lavorative, aumentando così il tenore di vita».
(Il principio della protezione operaia con tendenza verso il sistema della responsabilità civile degli imprenditori, risale al 1879. Se la grandiosa ascesa della legislazione sociale ha inizio nell’ultimo decennio del secolo scorso, le organizzazioni tendenti al miglioramento delle classi lavoratrici erano già fiorenti nel decennio precedente, dal 1880 al 1890. Infatti la Lega nazionale delle cooperative che sarà più tardi portata al massimo splendore dal socialista Vergnanini, nacque nel 1886 con l’esplicito programma del miglioramento non solo materiale ma anche morale delle classi lavoratrici, poiché le cooperative di consumo stroncarono l’usura della bottega. Nello stesso anno veniva varata la prima legge sul lavoro dei fanciulli nelle fabbriche).
UMBERTO: «La Monarchia, mentre fu sempre, nei limiti del possibile, sollecita verso gli umili mediante la beneficenza, fu sopratutto sostenitrice dei diritti sacrosanti delle masse lavoratrici: dall’obbligatorietà dell’istruzione elementare alla eleggibilità diretta dei sindaci di tutti i Comuni, fino al suffragio universale. Il diritto al voto, già privilegio dei ricchi, viene esteso anche ai lavoratori i quali possono mandare alla Camera un maggior numero di rappresentanti. Lo stesso principio della protezione delle minoranze che fu una caratteristica dei Governi unitari, principio tanto, difeso dalla Monarchia con il ripetuto invito al potere, non si traduce forse in pratica nella più schietta difesa delle classi operaie quando esse apparvero, organizzate, sulla scena politica? »
(Ma con la prima propaganda socialista si affacciano i nuovi problemi imposti dalla valorizzazione del lavoro e delle necessità di una più equa giustizia sociale, propaganda che trova una tenace opposizione nelle classi borghesi anche perché il marxismo viene predicato con accenti apocalittici, cioè la catastrofe capitalistica donde uscirà la dittatura del proletariato che dovrebbe rifare le sorti del mondo. I capi del socialismo primitivo ebbero la gravissima colpa di andare oltre le rivendicazioni pure e semplici e di una quistione economica ne fecero una quistione politica speculando sul malcontento e sulla miseria, in un paese non preparato, rompendo così l’equilibrio e l’armonia dello Stato che riappariranno domani con l’evoluzione del socialismo riformista. Stretta dall’eredità del Risorgimento, sotto il peso e la stanchezza per lo sforzo compiuto per l’Unità nazionale, Casa Savoia non può ancora essere l’arbitra della nuova situazione, pur avendo assecondato quelle prime iniziative contenenti i germi di quei provvedimenti donde sboccheranno più tardi le più audaci riforme. La Monarchia si dibatte ancora fra nuvole e baleni).