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Interviste 46-64

Intervista rilasciata a Gianna Preda, Il Borghese,  1960

By Settembre 14, 2019Novembre 12th, 2021No Comments

Intervista rilasciata a Gianna Preda – Il Borghese – ,  Milano 26 maggio 1960

“Quando vedo Umberto II venirmi incontro mi sorprendo a pensare: ” Questo è il Re d’Italia”….

“Mi rendo conto in questo momento , di che cosa debba significare per Umberto II , l’esilio che non è semplicemente una condizione, non è soltanto un provvedimento politico, ma qui, in questa casa costruita proprio per l’esilio, è una realtà palpabile, struggente, irrimediabile….

“Poco dopo Umberto II dice: “La nostra cara amata patria” ed io avverto perfettamente, e persino dolorosamente, che cosa egli intenda con quelle parole, che nella democratica repubblica italiana suscitano, quasi sempre, i sarcasmi. Così d’un tratto, ho la coscienza di quello che i nostri figli hanno perduto: il senso della patria, il cui nome, in Italia, viene usato troppo spesso come piattaforma per inesistenti o fragilissimi sentimenti nazionali. Ma l’accento con cui Umberto II pronuncia quelle poche parole non è retorico o vacuo e mi pare che egli sia l’unico italiano capace di far accettare la realtà di una patri a cara e amata. E questo non perché viva in terra straniera, esiliato, ma perché ama l’Italia e gli Italiani come nessun altro, come nessun repubblicano ha mai dimostrato di amare. Questa è la verità, benché possa addolorarmi il fatto d’averla scoperta così lontano dal mio paese e compresa per merito di un uomo che non è il Presidente della Repubblica.

Re Umberto II Cascais 1960

Re Umberto II Cascais 1960

“Nel corso di questi anni i rotocalchi hanno trasformato Umberto II in un personaggio di leggenda, prigioniero in una cornice patetica; e d’altro canto non pochi monarchici qualificati, che hanno poi dimostrato di gradire i vantaggi loro offerti dalla repubblica, hanno tentato in buona o in mala fede, di presentare il Re come un uomo cauto, prudente, distaccato: qualità, essi precisano, che si addicono a un Sovrano il quale deve essere al di sopra e al di fuori di tutto.

“Il tal modo era giustificata l’opinione di quanti avevano finito col credere che , tutto sommato, Umberto II fosse un uomo fuori del suo e del nostro tempo, immune dai nostri malanni, quasi indifferente alle sorti della Repubblica. Ma

 

che la sua personalità sia, in effetti, del tutto dissimile da quella prefabbricata dai rotocalchi e da certi monarchici, lo sto constatando ora, qui a Cascais, in un colloquio che di minuto in minuto si fa appassionato e schietto…

Umberto II mi chiede dove sono nata e , dopo lamia risposta, parla della Romagna. Improvvisamente sembra travolto dai ricordi e parla di piccoli paesi romagnoli che io stessa avevo dimenticato, e poi, con le mani strette sulle ginocchia, senza guardarmi, esclama: “Sapesse com’è difficile, com’è difficile vivere lontano dalla patria, fra questi quattro scogli“. Quelle parole potrebbero rivelare una segreta ribellione se non fossero dette con un tono basso, torturante. Mi sembra quasi impossibile, per l’emozione provocata da un simile accento, poter iniziare un altro discorso che non sia legato alla nostalgia di questo Re che non ha alcun timore di scoprire i suoi più intimi rimpianti…..

“Sebbene gli argomenti del colloquio siano politici, il suo carattere  è stranamente umano ed affettuoso. Certo dipende dal fatto che sono italiana. Che i miei sentimenti siano repubblicani( l’ho dichiarato con franchezza sin dal primo momento) per Umberto II non conta. Sono convinta che ben altro valga per lui e che , dal suo remoto posto di osservazione, egli guarda alla repubblica italiana non come a un Regno perduto ma come alla Patria perduta.

“Umberto II segue il più piccolo evento del nostro, e del suo paese. Me ne accorgo quando dice che è lieto dei nuovi provvedimenti economici da cui gli italiani trarranno vantaggio. Non fa alcun cennoo al governo. sa che non può riguardarlo, ma tutto quanto riguarda gli italiani lo rallegra e lo addolora, secondo gli eventi. E dalle notizie che mostra di conoscere perfettamente comprendo che, questa in cui mi trovo, è una piccola isola un pezzetto d’Italia. Non per nulla a questa isola approdano, da ogni parte del mondo, migliaia di Italiani. Ma non so fino a che punto questi possano compensare  Umberto II di tutto quello che ha lasciato dietro di sé.

Questa mattina – dice il Re – mi sono mescolato fra la folla per vedere Eisenhower. I portoghesi non sono facili agli entusiasmi; hanno visto troppi capi di stato, troppi personaggi illustri. Eppure la folla, questa mattina, era esultante e alle finestre, dove non vi erano bandiere portoghesi o americane, avevano disteso grandi coperte colorate“. La sua espressione però è tesa e preoccupata: la causa di questo è il fallimento della conferenza al vertice.

Evidentemente Umberto II non si rifà soltanto alle notizie ufficiali o a quelle della stampa. Le migliaia di persone che gli scrivono, soprattutto gli Italiani d’America, d’Inghilterra e di altri paesi, gli raccontano le loro ansie e gli forniscono i particolari che nessun giornale riporta. Ma sono i particolari , i sentimenti, i fatti, i crucci delle persone qualunque; di quelle che, domani, sarebbero vittime degli avvenimenti più drammatici. E Umberto II partecipa con tanto abbandono alla vita di ognuno dei suoi italiani, da diventare simile a loro; ansioso e allarmato.

Soltanto alla fine mi informa che questa sera avrà un incontro con Eisenhower . Sembra una notizia da nulla, ma può valere per tutti coloro i quali pensano ad Umberto II come ad un personaggio fuori del tempo, distaccato dalle vicende del mondo e , magari, considerato relitto dai grandi della nostra epoca.

“L’incontro sta per concludersi e soltanto ora avverto che mai, nel corso del colloquio, sono state pronunciate parole faziose. La piccola e bassa polemica è lontanissima da questo re che pure , in Italia, è rappresentato da troppe persone che fanno polemica.

“Quando arriva il momento del congedo si stabilisce una sorta di tensione. “Arrivederci“, mi dice Umberto II, “Mi saluti la mia Italia, i miei italiani, tutti quelli che incontra“. Il suo viso è serio e commosso. Penso che ogni volta che si commiata da uno di noi, egli riviva l’attimo primo del suo esilio. “Mi saluti l’Italia“, ripete, ed io faccio un cenno di assenso. Non mi riesce assolutamente di parlare. Vorrei dirgli non so che cosa: qualcosa che lo consoli. Ma mi pare presuntuoso ed impossibile. Che cosa potrei dirgli? esco senza voltarmi perché non voglio farmi vedere mentre piango.

“Non mi vergogno delle mie lacrime e non ho paura dei facili sarcasmi di quegli italiani, che non vogliono, o non possono capire, che cosa significhi congedarsi da un Re: dal Re d’Italia in esilio.