da l’Europeo 26/11/1952
Montpellier, novembre
«Da un po’ di tempo», mi ha detto Umberto di Savoia seduto a busto in avanti in una poltrona dell’Hótel Métropole, e vestito in tre toni di grigio, «gli italiani dimostrano d’avere quello che i francesi chiamano l’esprit mal tourné”. Basta che noi fratelli ci riuniamo, ed eccoli pronti a sospettare liti per interesse, separazioni legali o altri strani intrighi. Questa volta hanno invece pensato a una malattia mortale della mamma, e le notizie sui giornali sono state così allarmanti che purtroppo ci sono arrivate decine di telegrammi di condoglianza ». Alludendo alla salute dell’ex-regina, Umberto dichiara in fretta che da una donna di quasi ottant’anni non si può pretendere prodigi di vigore. «Lei non ha una nonna o una bisnonna?» mi chiede. «Perché a una certa età si sta tutti allo stesso modo», e poi mi guarda con quel sorriso che è lo stesso da molti anni, timido benché spiegato, come di chi desideri dall’interocutore o dallo spettatore un appoggio, un consenso o comunque un gesto di fiducia. Il discorso su sua madre, appena può, Umberto lo lascia cadere, e preferisce parlar d’altro, magari di cinematografo, o di giornalismo. Quanti film fa all’anno Totò? E’ vero che per ogni film guadagna decine di milioni? (Sono le principessine che lo trascinano a vedere i suoi film a Cascais). Ad Umberto è piaciuto Tre storie proibite di Genina, che l’ha colpito anche per la bellezza delle protagoniste Lia, Amanda, Antonella Lualdi ed Eleonora Rossi Drago; di solito però prova un senso di pena per il fatto che i registi italiani mostrano all’estero soltanto stracci, misere storie di ladri e di mendicanti. Gli dispiace inoltre che facciano il processo a don Zeno per Nomadelfia: era quello un esperimento cristiano da incoraggiare. Gli rincresce che a Milano nelle vecchie vie del centro costruiscano case moderne e brutte, forse anche grattacieli. Non vorrebbe poi, che con tutti i poveri che ci sono in Italia, si trovasse gente che compera appartamenti a quattro milioni il locale. Il nuovo quotidiano monarchico La Patria come va? Umberto spera che «il Corriere resti sempre il Corriere».
Quanto alla vita che l’ex-regina conduce a Montpellier, Umberto è ancora reticente. « Mio Dio, è la vita di una qualsiasi signora anziana, che abbia qualche acciacco dovuto all’età ».
«Sua Maestà la regina madre non è mai stata così bene», dichiara Mario Castellani, ex-capitano dei carabinieri, al servizio di Umberto dal 1946, con lo zelo esagerato e quella forma senza incrinature che gli viene dalla completa devozione ai Savoia, così da dividere interamente i loro segreti e da appoggiare i loro silenzi.
«Due settimane fa, direi», cerca di ricordare Vittorio Squarzanti, che da ventisei anni ha la carica di maitre d’hótel in casa Savoia, e che col tempo è venuto somigliando anche lui a un aristocratico in esilio e come uno di loro è cautissimo. «Due settimane fa, mi pare proprio, le ho portato quegli speciali vermi rossi che vengono da Le Havre per la sua solita seduta di pesca». E ogni parola che si riferisce alla sua padrona pare pronunciata con, la maiuscola o perlomeno sottolineata.
«Pauvre Hélène, ìl faut bien la soigner», sussurrano ansiose tra di loro due signore anziane che al mattino escono in fretta dall’albergo Métropole e dopo un giro per la città con la borsa dì tela cerata appesa al braccio, si infilano in una Chevrolet nera diretti alla periferia. Sono le due sorelle di Elena di Savoia, la principessa Xenia di Montenegro, che le somiglia molto, ancora bruna sotto un cappellino duro e modesto, e la principessa di Battenberg, tutta bianca e curva con un naso nobilmente grande e sottile, spesso seguite da un gentiluomo che si direbbe uscito da, un dagherrotipo, alto, diritto, coi baffi candidi, la canna e il cappello nero: è un russo bianco emigrato, il principe Obolenski.
«Le médecin ne parle pas», conclude con impazienza il medico dell’ex-regina. «Les clients sont autant de secrets». E’ il professor Paul Lamarque, che si esprime così, titolare della cattedra di elettroradiologia all’università di Montpellier, e direttore del centro anticanceroso più importante della provincia francese.
Non si sa dunque nulla di preciso sulla malattia di Elena di Savoia che fino a pochi anni fa soleva dire: «Ce que j’ai apporté à mon mari ce n’est pas l’arIgent, mais c’est une forte constitution et une robuste santé». Si sa soltanto che venuta su consiglio di medici italiani ed egiziani a farsi visitare dal professor Lamarque nel marzo 1950, decisa comunque a tornare in Egitto, da allora non si è più mossa da Montpellier, e dopo un anno di sosta all’Hótel Métropole, ha affittato e poi comperato Le mas de Rouel, una casa sulla collina degli Aresquiers, a tre chilometri dalla città, dove il secolo scorso si era rifugiata la moglie del ministro Necker. Il professor Lamarque, che le ha venduto la villa, la visita due o tre volte la settimana. Egli è noto soprattutto per aver inventato un apparecchio di radioterapia di contatto endocavitario, specialmente concepito per il cancro dell’intestino retto, della faringe e della lingua
Qualunque sia la malattia e il suo decorso, la «forte constitution» di Elena di Savoia le permette ancora una vita quasi normale. Come ha fatto sempre, ancora oggi si alza ogni mattina alle cinque e mezzo, e si veste e si pettina da sola, perché a quel’ora la sua fedele Rosa Gallotti e le altre domestiche dormono. (A quell’ora è solo Diana che si sveglia con lei, la cagnolina bastarda dalla testa di lupo giallo, che Vittorio Emanuele salvò dall’annegamento ad Alessandria d’Egitto). Un mese fa l’ex-regina era a colazione «chez Paulette», una modestissima trattoria di marinai dipinta di celeste sulla riva sinistra (che è il lato popolare) di Palavas, la cittadina sul mare a quattordici chilometri da Montpellier; e tutta sola, col suo tailleur grigio-ferro dalla giacca lunga, il cappello piuttosto grande a forma di torta, e un paio di centimetri di veletta sugli occhi, mangiava la bouillabaisse (che esige sempre, drogata), mentre a un tavolo poco distante, tra i pescatori del posto, faceva colazione il suo autista, Paolo Dauria, che l’accompagna dal 1940. Accanto a lui il cesto da pesca contenente un piccolo branzino e due Muggini, in un angolo la lunga lenza dell’ex-regina, e il barattolo di vetro pieno di vermi scarlatti. Due settimane fa, accolta con le solite grida: « Voilà la dame aux bombons! Voilà la bonne dame noire! » dalle bambíne Michèle, Monique e Nicole Ollombell, Elena di Savoia si fermava davanti a una casetta sul canale «de Rhóne à Sète» a Carnon, per portare un regalo alla moglie della guardia del canale, che aveva avuto il quarto figlio, Gérard. Una «liseuse» per la madre, un completo di lana per il maschietto, e per le sorelline dei pacchetti di caramelle a forma di pisello e di lampone, una bambolina di celluloide nella sua culla celeste, e un orso di stoffa con la parola «bébé» scritta sul collo.
La vecchia regina fa visita spesso alla giovane signora Ollombel, perché è proprio lì davanti o dietro alla sua casa sull’acqua che essa preferisce pescare. E’ alla giovane sposa bionda d’origine tedesca o alle sue belle bambine che chiede la sedia quando ha dimenticato il suo seggiolino pieghevole, è in questa modesta sala da pranzo che si rifugia quando il sole è troppo forte o minaccia di piovere, a parlare di bambini preferibilmente, e dei suoi quindici nipoti. E quando c’è troppa gente sul canale e sull’acqua vanno e vengono troppe barche, la vecchia signora chiede d’andare a sedere con la sua lenza sul retro della casa. Passa allora attraverso cancelletti di rete metallica, tra le centotrenta galline bianche degli Ollombel, accanto ai muri ondeggianti della biancheria stesa, ai mucchi di rifiuti, e va a mettersi per ore (dalle tre alle sei o alle sette) sul piccolo molo che guarda gli sterminati stagni azzurri delle anguille. Resta lì immobile e paziente a pescare (per le anguille il verme si infila direttamente sullo spago) una figura nera e ancora piuttosto massiccia ai margini della sconfinata laguna. «Une pécheuse acharnée», dicono dì lei gli abitanti di Carnon, e di Palavas. «Ca la distrait évidemment», aggiungono a titolo di spiegazione. I vecchi pescatori che talvolta essa si trova vicini a Palavas, dicono che Elena è bravissima nello stancare il pesce » tirando e allentando la lenza, che si stizzisce soltanto quando al suo amo abboccano i gamberi. « Il faut voìr alors comme elle secoire sa ligne! ».
Un’altra passione dell’ex-regina è la fotografia. Ancora oggi essa porta sempre con sé la macchina (ha una Leica e uno di quei piccolissimi apparecchi americani) per scattare fotografie nei luoghi che le piacciono. Ha ritratto tutte le località dove pesca, tutti gli angoli del giardino del Mas de Rouel, le viti rosse ad arbusto, i grandi pini a ombrello che fanno somigliare questo tratto del Languedoc alla campagna romana, la vasca di mosaico celeste sullo spiazzo davanti alla sala da soggiorno, guarnita di conchiglie del Mar Rosso e di ranocchie di porcellana, le due grandi rane di bronzo all’ingresso del salotto. La villa l’ha fotografata da ogni lato, piccola, bianca cori le persiane verdi e la torretta. Per il viale dei crisantemi e la stanza di soggiorno ha usato pellicole, a colori: così risaltano bene le molte poltrone di pelle rosse e verdi, il grande camino di marmo sormontato dalle armi dei Savoia e della famiglia reale del Montenegro, la scrivania dai riflessi rossicci, la natura morta del Settecento, a fiori e frutti, il grande vaso per le ombrelle e i bastoni dal pomo colorato. In un angolo della fotografia a colori, su un tavolino basso, si scorge,nitida, un’altra fotografia, quella di Vittorio Emanuele in divisa da generale, e più oltre, le tende e le poltrone di chintz fiorite del salotto di Elena. A fianco della stanza di soggiorno, sul giardino si apre anche la modernissima cucina, tutta bianca e azzurra, dove il giorno che sono stata al Mas de Rouel, due giovani cameriere in grembiule e cuffia arrotolavano sulla forchetta morbide conchiglie di pasta.
Mentre a pescare l’ex-regina va spesso in compagnia del suo medico il professor Paul Lamarque, di fotografia essa parla col suo dentista, il professor Eugène Bec, che è inoltre vicepresidente del Club di fotografia di Montpellier, e che al festival di Cannes di quest’anno ha vinto la coppa del film chirurgico per il suo documentario sulla tiroidectomia. Recentemente il professor Bec ha proiettato al Fotocìneclub di Montpellier una collezione di fotografie a colori latte da Elena dal 1938 a oggi: gruppi di famiglia a villa Savoia e in Egitto, paesaggi di Roma e di Alessandria, d’une grande valeur historyque et très bonues au point de cue teohnique». L’amicizia coi dottori che la curano testimonia una volta di più dell’interesse che la regina ha sempre avuto per la medicina, dai tempi in cui faceva venire dal Montenegro l’erba «veratropa», con la quale affermava di poter fare un gran bene agli encefalitici. Ancora oggi, più dei romanzi che non la divertono più e dei libri di storia che la stancano, legge riviste mediche, specialmente tedesche e inglesi, alle quali è abbonata. A molte ore del giorno ascolta la radio; s’interessa di apparecchi, di valvole e di propagazione, come una vera competente. Quando non va a pescare, si fa portare in automobile sul Peyrou, che è la «grande promenade » di Montpellier e cammina su e giù nel bel giardino pubblico. Poco tempo fa ci fu chi l’udì ridere davanti all’enorme statua equestre di bronzo di Luigi XIV; il professor Lamarque le stava raccontando infatti come lo scultore che l’aveva fatta fosse impazzito ad opera finita: si era accorto di colpo che a quel re dall’aspetto eroico che andava al trotto si era dimenticato di fare le staffe.
Una delle ultime lettere che l’ex-regina ha ricevuto nel suo esilio è quella di una donna lebbrosa ricoverata in un ospedale dell’Italia meridionale che la ringrazia per il dono che le aveva chiesto: una trousse con lo specchio e il reparto per il piumino della cipria. Una delle persone di Montpellier che non manca mai di mandarle un mazzo di violette (il suo fiore preferito) nei giorni di festa è il groom dell’Hotel Métropole, al quale Elena l’anno scorso aveva chiesto l’ora in ascensore. «Je vous demande pardon, mais je n’ai pas de montre», aveva risposto il ragazzo, che il giorno dopo sì vide arrivare un orologio d’oro da parte di quell’ospite,taciturna, sempre vestita di scuro. Violette e rose tee, insieme ai marrons glacés e alle ciliege coperte di cioccolato, che le piacciono più di ogni altro dolce, le sono state regalate l’11 novembre, data del compleanno di Vittorio Emanuele, dai figli che sono venuti a trovarla: Jolanda Calvi di Bergolo, iscritta sul registro dell’albergo con la qualifica di «casalinga», Giovanna, ex-regina di Bulgaria, che viaggia sotto il nome di contessa Rilsky, e Umberto, che in automobile porta il basco, sulla valigia un biglietto con scritto «Il conte di Sarre» e, come si addice a un cattolico re in esilio, viaggia con un rosario dì madreperla, un Gotha tascabile e il messale quotidiano di padre Lefèbvre, rilegato di pelle nera.