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Regina Maria José, interviste

La mia vita nella mia Italia – di Giacomo Maugeri 1958 – 16

By Ottobre 12, 2018Ottobre 24th, 2021No Comments

Intervista a S.M. la Regina Maria José

La mia vita nella mia Italia – XVI

di Giacomo Maugeri

LA BELLEZZA DI GABRIELLA

L’esilio ha reso più intimo, più intenso, lo scambio tra Maria José e i suoi figli, specialmente con Vittorio e con Gabriella, che abitano con lei. Maria José si dimostra molto fiera della bellezza di Gabriella, che qualche giornale ha definito la pin-up di casa Savoia.
La somiglianza tra certe sue fotografie giovanili e quelle della principessa viene sottolineata da molti.

Maria José finge di ignorarlo. Parla più volentieri dell’intelligenza di Gabriella, che stupisce gli insegnanti. Circa il matrimonio dice: «Non ho teorie. Non sì può dire alle ragazze, come si diceva una volta: Tu sposerai il tale. Se incontrano una persona che amano e che sia degna di loro, io sarò contenta».

Di Vittorio, Maria José dice che è cresciuto troppo presto- « È irrequieto, non moralmente, ma fisicamente. Ha un grande bisogno di attività fisica, ha l’irrequietudine che hanno certe persone molto attive. Sino a qualche anno fa mi ha dato delle preoccupazioni, perché non voleva studiare. Ma da quando è entrato all’università è cambiato, fortunatamente. Ha ricevuto in dono, compiendo i ventun anni, la chiave dì casa, però non abusa della libertà che gli è concessa. I ragazzi d’oggi, Vittorio, i suoi amici, non hanno certi turbamenti, certi desideri malsani che avevano i ragazzi di una volta. Una volta i giovani facevano debiti di gioco, corteggiavano donne sposate, incarnavano un tipo di Dongiovanni che oggi non esiste più. Quelli di ora non posano a cinici, non si lasciano travolgere da passioni inconsiderate. Hanno un senso di responsabilità più spiccato. In apparenza, Vittorio lo si giudicherebbe un indifferente, invece è un sentimentale, con le ragazze. Il fatto che frequenti amiche più giovani di lui mi rassicura, perché mi pare una cosa naturale. Da qualche tempo ha la passione dell’aviazione. Ha il brevetto di pilota ed ha già pilotato dei reattori. Questo mi piace per lui, ma nello stesso tempo mi terrorizza. Bastano i timori che ho quando guida la macchina. Da quando è diventato maggiorenne, non ha più voluto al fianco un precettore. Tuttavia una persona dì esperienza che lo consigli, da uomo a uomo, quando è necessario, ci vuole sempre. Il re ed io, ultimamente, abbiamo pregato il conte Bossi-Pucci, un fedele amico del tempo di Napoli, di essere l’amico e il consigliere di nostro figlio. Ad ogni modo, Vittorio è maturo, serio e frequenta amici ohe mi sono simpatici. Certi giorni, all’ ora di pranzo o di cena, i miei figli arrivano qui con quattro o cinque amici, vanno in cucina, organizzano tutto loro, improvvisano un pranzetto o una festa. Per me è un gran piacere trovarmi in mezzo a questa gioventù. Il guaio è che alle volte i miei figli mi impediscono di lavorare.

Due anni fa Maria José ha dato alle stampe il primo volume della Storia dei Savoia, per cui Benedetto Croce quasi in punto di morte scrisse la prefazione. Il libro descrive le origini della casa di Savoia ed è dedicato alle figure del Conte Rosso e del Conte Verde. È costato all’autrice anni di ricerche in tutti gli archivi della Savoia, a Annecy, a Chambéry, a Grenoble.
Per quest’opera. Maria José è sta ta chiamata a far parte dell’Accademia di Savoia. È la sola donna che mai sia stata ammessa in quel consesso di studiosi, di cui sono membri due Accademici di Francia, Daniel-Rops e Henri Bordeaux.

L’Accademia si riunisce una volta al mese a Chambéry e spesso Maria José partecipa alle sedute. Ora la regina sta preparando il secondo volume, dedicato ad Amedeo Vili, primo duca di Savoia, ”Amedeus Pacificus”. Conta di terminare il libro entro il 1959 e in queste ultime settimane è rimasta per molti, giorni chiusa in casa, a scrivere. « Sono in gran ritardo », dice, « giacché l’estate se n’è andata senza che concludessi nulla. Se il lavoro non va avanti, ho rimorso di aver sprecato tempo. Quando cominciai a scrivere, il mio giardiniere, in segno di auspicio, battezzò il suo primo figlio Amedeo. Il suo Amedeo ha nove anni ed il mio non è ancora nato ».

Barricata nel suo studio, Maria José si alza dal tavolino solo quando ha finito di scrivere un capitolo. La campanella per il pranzo a Merlinge suona due volte. La prima volta per i principi e dieci minuti dopo per la regina. Quando scrive, seminando di fogli azzurri il pavimento del suo studio, Maria José non scende neppure a pranzo. Si fa portare qualcosa da mangiare, manda giù in fretta un boccone, e prosegue il suo lavoro: « Non voglio rompere il clima. Un capitolo è per me come una ininterrotta galoppata. Non posso smettere se non ho finito. E scrivo tutto a mano, perché il rumore della macchina mi disturba. Mi alzo da tavolino, certe volte, come ubriaca, stordita. Allora, per snebbiarmi la testa, esco  a fare una passeggiata ».

“SI METTA SCARPE VECCHIE”

Le passeggiate campestri di Maria José non sono però meno estenuanti delle sue galoppate a tavolino. La sua abitudine di camminare a lungo, con passo sostenuto, data da molti anni. Una delle sue dame che si affannava a tenerle dietro, una volta, durante un viaggio in Sicilia, svenne. Ora, se qualcuno si offre di accompagnarla, Maria José gli consiglia: « Si metta delle scarpe vecchie». Nella buona stagione, scende a piedi sino al lago e, memore delle lezioni di voga ricevute da Alfonso, fa una remata in barca. « Lo faccio volentieri », dice, « quando posso condurre con me una vittima. Se sono sola ci rinuncio. Mi sembra di fare una figura stravagante, di posare a signora romantica, andando sola in barca ».

Nelle camminate, si porta dietro uno dei suoi due cani, Jara, un pastore tedesco. L’altro cane, Cran, un ciao-ciao, è pigro e sonnolento e preferisce non affaticarsi. Jara, però, è troppo espansivo con la gente che incontra e molto spesso Maria José si sente redarguire: « Signora, tenga il cane al guinzaglio ». Jara odia le uniformi ed il guaio è che attorno a Merlinge, che è a due passi dalla frontiera, c’è un va e vieni di doganieri. Un giorno Jara ne addentò uno ai polpacci e  stava facendolo ruzzolare dalla bicicletta. Maria José, mortificata, fece le sue scuse ma dovette sorbirsi una severa ramanzina. « Ma il bello del’esilio », dice, « è proprio questo: non essere riconosciuti dalla gente che si Incontra ed essere trattati come tutti gli altri. Ci sono due o tre vecchietti coi quali ho fatto amicizia nel corso delle mie passeggiate. Credo che non sappiano chi sono. Ci fermiamo a parlare, del raccolto, del tempo che farà, dei vermi delle patate, i fll-di-ferro, come li chiamano da queste parti. Uno è un conoscitore straordinario di funghi e parlando con lui mi sono fatta una cultura in materia ».

Pochi sono gli amici intimi che frequentano Merlinge o cui Maria José sì reca a fare visita. Le prime persone che conobbe in Svizzera, quando vi si rifugiò durante la guerra, furono Berthe e Marcel Casai, che nei primi giorni le offrirono ospitalità in casa loro. Marcel Casal, persona molto influente nel cantone di Ginevra, è un consigliere della regina in faccende di indole amministrativa. Berthe Casai è l’amica che più assiduamente si vede a fianco di Maria José, e che sovente l’accompagna nei suoi viaggi. Un’amica belga di vecchissima data, la signora Charton, dirige la casa di Merlinge: abita in una dépendance della villa detta “Petite Maison”. Da quando la villa e la tenuta appartenevano a un ufficiale dell’esercito svizzero, il defunto colonnello Favre, la gente ha preso l’abitudine di dire “il castello”. La casa, in realtà, non ha tanta imponenza e severità. Le sue sole torri sono i comignoli e le mansarde che si affacciano sul tetto aguzzo.
A pianterreno c’è il soggiorno la cui vetrata si spalanca nel giardino, la sala da pranzo, la cucina. Al primo piano, la biblioteca, il bel salotto di Maria José, lo studio, la camera da letto. Al secondo, le camere di Vittorio e di Gabriella e una grande camera d’angolo, per una coppia di ospiti. È quella che occupa Umberto, oppure Maria Pia e Alessandro, quando vengono a Merlinge. Tranne una delle cameriere, Joséphine, svizzera, tutto il personale è italiano: l’autista, la cuoca, una seconda cameriera, il cameriere, il giardiniere. Certi giorni, striduli lamenti par tenti dal sottoscala turbano la quiete di Merlinge: sono gli “Innominati”, una coppia di pappagalli, che appartengono a Vittorio. « Quando apro loro la gabbia », dice Maria José, « la femmina mi svolazza sulla testa ». L’essere privilegiato di Merlinge è Pelléas, il gatto, vedovo inconsolabile di una femmina che non poteva chiamarsi che Melisenda. Pelléas dorme indisturbato sul letto di Maria José. Quando qualche anno fa la regina si è fatta fare un ritratto da Théodore Strawinsky, figlio del compositore, ha posato tenendo il gatto in braccio. « I primi tempi », mi dice Maria José « è stato molto diffìcile mettere d’accordo i cani con i gatti e i gatti con i pappagalli. Sono stata a lungo perplessa se disfarmi dei cani, dei gatti, oppure dei pappagalli. Ma non è stato necessario. Alla fine, l’armonia si è stabilita ».